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La memoria nei paesaggi, le radici nell’antifascismo

In corso il Festival delle memorie civili fra Bologna e il Parco Storico di Monte Sole [Chiara Nencioni]

Marzabotto, in dialetto bolognese “medio montano”, 130 metri di altezza nell’appennino emiliano. Il comune è tristemente conosciuto per l’eccidio del 29 settembre-5 ottobre 1944, anche se di questa strage nazista, la più grave contro civili italiani, il nome più corretto sarebbe “eccidio di Monte Sole”, perché ha interessato i comuni di Grizzana Morandi, Monzuno e Marzabotto.

In questo luogo di sangue, nella valle del Reno, dal 17 al 19 giugno si tiene la prima edizione di Radici “Festival delle Memorie civili e ambientali”, promosso da Libera, dal Comitato Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto, dalla Scuola di Pace di Monte Sole, dall’ANPI con la collaborazione di numerosi altri partner.

Il Festival è una tre giorni fra Bologna e il Parco Storico di Monte Sole per intrecciare le memorie che costituiscono la storia della Città Metropolitana di Bologna, attraverso spettacoli (ad esempio il racconto in forma teatrale della vicenda umana, politica e morale di Chaim Mordecai Rumkowski), dibattiti, laboratori, concerti (quello del Collettivo Franco), trekking sulla memoria del paesaggio (a cura di Ente Parchi dell’Emilia Orientale) e per tracciare un collegamento fra le memorie allo scopo di creare una narrazione comune e condivisa della storia di Bologna e dintorni, profondamente segnata da eventi di sangue che ne hanno plasmato l’identità culturale e politica.

Il Festival coinvolge, infatti, anche l’Associazione dei Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980: il sabato mattina si tiene un dibattito con Andrea Speranzoni e Alessandro Forti, avvocati di parte civile del processo e la domenica Sonia Zanotti, sopravvissuta alla strage alla stazione, porta la sua testimonianza e presenta il suo libro.

Il pomeriggio del sabato, invece, è dedicato all’eccidio di Monte Sole. Il Professor Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri e coautore del saggio Il Massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, ricostruisce i motivi di questa strage: “qui i partigiani della brigata Stella Rossa combattevano, il fronte era vicinissimo ma gli Alleati non riuscivano a sfondare e volevano raggiungere Bologna prima dell’inverno”. La 16° Panzergrenadierdivision e in particolare il battaglione esplorante di Walter Reder (in totale circa 300 uomini) si erano trasferiti in questo versante dell’Appennino dopo la “ripulitura”, tramite “terra bruciata” nell’estate del ‘44, del territorio dalle colline pisane alle Alpi Apuane compiendo le stragi di Sant’Anna di Stazzema, Bardine, San Terenzio, Vinca e le Fosse del Frigido.

A Monte Sole gli uomini erano per lo più scappati; erano rimasti donne, bambini, anziani: vengono tutti uccisi, 770 vittime, tutti civili. A parte loro, solo qualche partigiano nello scontro di Casotto, più a valle. “I civili qui non sono vittime collaterali ma designate, per terrorizzare la popolazione e spezzare il legame fra essa e i partigiani. Tutto è stato distrutto qui”, dice Pezzino, ideatore insieme a Michele Battini della felice definizione di “guerra ai civili”, diventata di uso corrente nella storiografia contemporanea. Nel frattempo fra la valle del Setta e la valle del Reno si rastrellano gli uomini: quelli abili al lavoro vengono mandati alla Todt, gli altri uccisi, in quanto “inutili”. Nei giorni successivi le poche donne rimaste, anche ferite, vengono portate all’oratorio di Cerpiano, dove Reder aveva fissato il suo comando, e prima vengono fatte cucinare, poi violentate. Uno dei caporali di Reder, intervistato da Udo Gumpel, dirà “abbiamo solo eliminato dei bacilli di sinistra”.

Contemporaneamente in località San Martino si tiene il dibattito dal titolo “Giustizia tardiva e verità storica: dal processo sugli eccidi di Monte Sole alle stragi del 1992-93” cui partecipano Giuseppe Pipitone, giornalista de ilfattoquotidiano.it e gli storici Toni Rovatti, Luca Baldissara, Francesco Biscione e Angelo Ventrone. A seguire, visione della clip La memoria di Monte Sole a cura dell’Istituto Parri e del Comitato Onoranze.

Dei processi iniziati dal 2002, successivi alla scoperta di quello che il giornalista Giustolisi ha con successo chiamato “l’armadio della vergogna”, parla l’Avvocato delle vittime Speranzoni. “Quell’armadio, a Palazzo Cesi, sede della Procura Generale Militare, non era né un armadio, ma una serie di scaffali, né blindato, né con le ante rivolte verso la parete ma visibile in un mezzanino, non in uno scantinato”.

Ma, chissà perché, solo alla metà degli anni ’90 qualcuno si accorge di quei 695 fascicoli, su cui è stampigliato il timbro di “archiviazione provvisoria” con episodi gravissimi di crimini di guerra? Speranzoni una spiegazione ce la dà, sulla base di alcune biografie di criminali nazisti e fa l’esempio di Karl Hass. Costui, maggiore delle SS, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, viene assoldato, subito dopo la guerra (il 15 gennaio 1947), dai servizi segreti americani, con cui collabora in funzione anticomunista in Europa (ad esempio in Austria) e in Italia, dove lavora per il colonello statunitense Joseph P. Luongo, a Bolzano, e l’estrema destra di Giorgio Almirante, per preparare un golpe nel caso della vittoria del Fronte Democratico Popolare nelle elezioni politiche del 1948. Entra anche in contatto con Digiglio, il cui padre era anch’egli nei servizi segreti americani, colui che ha preparato l’ordigno di Piazza della Loggia e probabilmente anche della stazione di Bologna. Incredibile è il fatto che costui recita anche, come comparsa, nei panni di un milite SA (a tale scopo si fa mandare dalla moglie che vive in Germania i suoi vecchi stivali da SS) nel film La caduta degli dei di Luchino Visconti. “Biografie come queste fanno capire il perché dell’insabbiamento”, risponde Speranzoni.

“Il processo per la strage di Monte Sole – continua l’avvocato -, che si risolverà con 9 condanne all’ergastolo nel 2008, è stato molto complicato, anche per la reticenza iniziale da parte dei familiari delle vittime e dei testimoni dopo 60 anni di silenzio, ma, come gli altri processi collegati al cosiddetto armadio della vergogna, è stato fondamentale: siamo riusciti, nel silenzio, lavorando sul diritto, a far capire che quell’armadio ha prodotto un ritardo, una giustizia tardiva ma anche una modernità giudiziale, nel considerare responsabili tutti coloro che hanno preso parte ad una strage se se ne dimostra il carattere programmatico, una novità che potrà essere un deterrente anche per le guerre del futuro.”

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