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I cani non potranno fucilare le stelle

Cosa direbbero i Cervi di questa Italia segnata ancora dalla  disuguaglianza? Resoconto poetico di un convegno [Chiara Nencioni]

Il 25 e il 26 Novembre fra l’Università di Reggio Emilia e il Museo Cervi a Gattatico – che ha visto lo scorso anno un nuovo percorso espositivo -, un convegno nazionale celebra i 50 anni dell’Istituto Cervi e celebra i 7 fratelli e il loro tempo, cercando di portare luce sull’Italia di allora e l’Italia di ora, fra fascismo, antifascismo e nuovi e nemmeno troppo velati fascisti.

Le relazioni storiche intrecciano la vicenda dei sette fratelli e del loro padre Alcide (ma non dimentichiamo la madre, le due sorelle e le 7 vedove e gli 11 figli) alla storia italiana a partire dal fascismo ai giorni nostri.

Cosa direbbero i Cervi dell’Italia di oggi segnata ancora da disuguaglianza e disumanità? cosa farebbero oggi per il loro paese in un tempo difficile per le democrazie, dove avanzano le oligarchie politiche, economiche, militari, religiose, dove la verità è offuscata dalla propaganda e cresce la disaffezione dei cittadini verso la politica? Sicuramente mentre il populismo e il nazionalismo di nuovo oscurano il cielo dell’Europa e del mondo, farebbero intatte ancora “splendere sette stelle d’argento / Sette stelle dell’Orsa / come sette sorelle / I cani non potranno / fucilare le stelle.” (Marco Paolini). “C’è gente a cui queste stelle fanno paura; perché sono stelle che segnano, in cielo, le vie dell’avvenire” (Piero Calamandrei).

Probabilmente aprirebbero la porta del podere dei Campi Rossi, ai migranti, come fecero allora ai prigionieri evasi e antifascisti braccati, “con questo umanesimo di razza contadina” (Salvatore Quasimodo), con il culto della famiglia e della dignità, cattolici e comunisti.

Probabilmente comprerebbero un nuovo trattore, come fecero per primi nel 1939, e farebbero della terra una forma di riscatto di quei 15.000 braccianti morti negli ultimi 6 anni di caporalato, stramazzati di caldo e di fatica.

“E terra, e acqua, e vento / Non c’era tempo per la paura, / Nati sotto la stella, / Quella più bella della pianura. /Avevano una falce / E mani grandi da contadini, /E prima di dormire / Un padrenostro, come da bambini”. (Gianni Rodari)

E Aldo, insieme al trattore, tornerebbe di nuovo a casa con un mappamondo perché, dice il padre Alcide, “la parola d’ordine era: studiate la situazione internazionale”, per orientarsi e fare orientare, per  guardare oltre i confini per scoprire che sono una sorta di membrana cellulare che si può attraversare in ogni istante, ritrovando, dall’altra parte, concetti nuovi ma anche informazioni che ci appartengono, che fanno parte di una cultura ed una identità comune in cui razza, religione e costumi differenti, si fondono, diventando parte integrante della propria identità socio-culturale (Claudio Magris).

“Me li immagino allora, i sette fratelli, quando il mappamondo fu arrivato, intenti tutti insieme, nelle lunghe serate invernali, a studiarlo sotto la guida di Aldo. Oceani e continenti Aldo indicava col dito: ‘Questo è un popolo: qui sono terre e uomini che le lavorano. Questa riga è un confine, al di là del confine ci sono altre terre e altri uomini che le lavorano; e al di là di altri confini ancora altre terre e altri lavoratori; e così sempre uguale, finché, facendo il giro del mondo, si torna al punto di partenza… Perché, allora, i confini, perché le guerre? Perché tutti gli uomini che lavorano non potrebbero mettersi d’accordo, e lavorare in pace, se uguale è il loro destino?’”, ha pronunciato Calamandrei il 17 gennaio 1954, al teatro Eliseo di Roma, per commemorare il decimo anniversario della fucilazione dei sette fratelli offrendo al loro padre quasi ottantenne, una medaglia d’oro.

Il Mappamondo era la bussola per orientarsi, per indirizzare i propri (e i nostri) sogni verso la conoscenza, verso il futuro. “Bandiera di pace / e di libertà / trattore, passa e va!”

E così i figli di Alcide, che non volevano passare per martiri, non sono mai morti e sentiamo ancora il vecchio e forte padre che ci rincuora e rincuora i nipoti “Dopo un raccolto ne viene un altro”.

 

 

 

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