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Rampelli e il richiamo del forestierismo

Rampelli – che propone multe salate a chi adopera vocaboli non italici – non è originale: ci aveva già pensato Mussolini con esiti grotteschi e feroci

Non passa giorno che questo governo non dimostri che, sebbene a parole si dichiari postfascista, sia in realtà profondamente fascista, e che neppure lo mascheri bene. Lo dimostra la proposta di legge presentata a Montecitorio dall’esponente di FdI, Fabio Rampelli, con la firma di una ventina di deputati del suo partito, che prevede che per chi continuerà a macchiarsi di ‘forestierismo linguistico’, ovvero ad utilizzare termini non della lingua italiana innanzitutto nella pubblica amministrazione, sia prevista una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5.000 a 100.000 euro.
Rampelli non è stato originale: ci aveva già pensato Mussolini!
Analizziamo ora in sintesi le leggi e i provvedimenti fascisti sulla italianizzazione forzata.
Partiamo dalla scuola: la Riforma Gentile (Legge n. 2185 del 1/10/1923, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» del 24 ottobre 1923, n. 250) prevedeva che l’insegnamento di tutte le materie potesse essere svolto esclusivamente in lingua italiana anche per gli alunni alloglotti, ed era obbligatorio in tutte le scuole del Regno, quindi anche nelle nuove province (artt. 4 e 17). L’applicazione di tale strumento normativo (con particolare riguardo all’art. 4, commi 1 e 2 e all’art. 17) aprì la strada all’italianizzazione forzata delle aree linguistiche alloglotte e in particolare dell’Alto Adige e del cosiddetto “confine orientale”.
Sempre riguardo alle aree linguistiche alloglotte, con il Regio Decreto n. 800 del 29 marzo 1923 venne dato compimento all’opera di italianizzazione dei toponimi iniziata dalle autorità militari italiane subito dopo la fine della guerra: i nomi di paesi, città, località geografiche vennero italianizzati arbitrariamente, senza alcun criterio scientifico.
Vi diverto con un esempio: “Srednjpolje”, cioè “campo di mezzo” diventa “Redipuglia ”, inatteso cortocircuito tra la realtà di un paesino del Carso abitato da sloveni e l’evocazione di un sovrano del tacco d’Italia.
Due anni dopo, l’italianizzazione linguistica si impose anche nei tribunali con il Regio Decreto legge n. 1796 del 15 ottobre 1925 “Obbligo dell’uso della lingua italiana in tutti gli uffici giudiziari del regno”. Se un giudice o chiunque altro ufficiale giudiziario avesse consentito a chicchessia di esprimersi in una lingua diversa sarebbe stato punito con la sospensione dal servizio. Se la violazione si fosse ripetuta, la pena sarebbe stata l’esonero.
Due anni dopo la proibizione dell’uso delle lingue “locali” fu affiancata dall’italianizzazione forzata dei cognomi. Il Regio Decreto n. 494 del 7 aprile 1927, estendendo alla Venezia Giulia il decreto emanato per l’Alto Adige il 10 gennaio 1926, impose la “restituzione in forma italiana dei cognomi originariamente italiani snazionalizzati”. La “restituzione” aprì la strada a un altro provvedimento: la “riduzione”, cioè l’italianizzazione ,dei cognomi di ceppo slavo o tedesco.
I prefetti nominarono speciali commissioni con l’incarico di formare gli elenchi dei cognomi da italianizzare.  Sulla base del Regio Decreto del 17 dell’aprile di quello stesso anno, cioè il ‘27, coattivamente iniziò l’italianizzazione e gli elenchi dei cognomi vennero completati fra il 1928 e il 1931.
Anche qui qualche “storiella”, ahinoi, vera. Il patriota avvocato Tanascovich, non è slavo, come sembrerebbe indicare il suo cognome, ma italiano. Ma poiché il cognome di uno stimato professionista non poteva suonare slavo, diventa l’avvocato Tanasco. Anche Fran Gaberšček fa l’avvocato ed è un patriota di italiano di Gorizia, però di origine slovena. Perciò vorrebbe dare al figlio un nome sloveno, cioè Boris. Al rifiuto dell’impiegato di stato civile, l’avvocato oppone che Boris è anche il nome di re di Bulgaria, genero del re d’Italia, ma l’impiegato registra d’ufficio il neonato come Vittorio. Il padre non demorde e fa ricorso e il tribunale di Gorizia gli dà ragione. Ma la procura e la corte di appello di Trieste annullano la sentenza di Gorizia, ritenendo evidente che con la sua insistenza Gaberšček abbia voluto dimostrare i propri sentimenti nazionali slavi. La commissione provinciale di confino pronuncia nei suoi confronti una ammonizione che di fatto gli preclude l’esercizio dell’attività professionale; per di più, il presidente dell’ordine degli avvocati lo fa radiare. A quel punto, gettato sul lastrico, a Gaberšček non resta che immigrare in Jugoslavia.
Con la proposta di legge Rampelli se la sarebbe cavata meglio, solo con una mega multa!
Agli uffici anagrafici venne imposto non solo di scrivere tutti i nuovi nati con nomi italiani, ma anche di cambiare con effetto retroattivo i nomi slavi già presenti. Lo stesso furono autorizzati a fare gli insegnanti con i registri scolastici. Neppure sulle corone funerarie fu più lecito scrivere il nome del defunto non italianizzato.
Alcuni esempi: i Mamilovič, che in croato sarebbe “Carbonai” vennero patriotticamente ribattezzati “Mameli”; il cognome Vodopives fu tradotto letteralmente in “Bevilacqua”. Jogovaz, letteralmente “del Sud”, diventa “Meriggioli”.
Caso curioso è quello dei quattro fratelli Covacich, che si trovarono ben quattro cognomi diversi: “Covacci”, “Covelli”, “Fabbri” e “Fabbroni”, e dei tre fratelli Sirk, residenti a Trieste, a Gorizia ed in Istria che diventarono rispettivamente “Sirca”, “Sirtori” e “Serchi”. Ovviamente i cugini residenti oltre confine rimasero Sirk.
Per Rampelli come si dovrà ribattezzare Erik Lavévaz, attuale presidente della Val d’Aosta?

Proporrei a Rampelli la riapertura della rubrica “Una parola al giorno”, a cura dell’ Accademia della Crusca (come da lui proposto) e non più dalla Reale Accademia di Italia, analoga a quella che fu pubblicata nella “Gazzetta del Popolo” di Torino per «ripulire la nostra lingua dalla gramigna delle parole straniere che hanno invaso e guastato ogni campo».
Propongo anche di regalargli il libro “Barbaro dominio. Cinquecento esotismi esaminati, combattuti e banditi dalla lingua con antichi e nuovi argomenti storia ed etimologia delle parole e aneddoti per svagare il lettore” pubblicato a Milano da Hoepli nel 1933, ma per la fortuna di Rampelli, ristampato nel dopoguerra.
Nel 1938 venne emanato il decreto-legge del 5 dicembre, n. 2172 sulle «denominazioni del pubblico spettacolo». Chiedo a Rampelli, dunque, di tradurre, ad esempio, “reality show”, “talent show”, “Master chef” etc per la gioia della Rai.
Nel 1940 si arrivò al divieto assoluto di parole straniere nell’intestazione delle ditte e della pubblicità, sotto pena di sanzioni che potevano arrivare, almeno in teoria, alla detenzione. Arrestiamo allora i proprietari dei cocktail bar?
E se la nazionale di calcio italiana sarà ammessa ai campionati europei o mondiali, dovremmo esultare con “rete”? E come faranno i cronisti, dato che dei giocatori nazionalizzati italiani hanno cognomi stranieri?
Vi lascio con questo interrogativo.

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