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Stop alle armi ai sauditi. Ce lo chiede lo Yemen

Negli ultimi 5 anni la vendita di armi verso il Medio Oriente è aumentata del 61%. Qatar +279% e l’Arabia Saudita +275%, ovvero i paesi impegnati nel conflitto in Yemen

di Angelo Motola

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Il Parlamento europeo si è espresso sulla situazione umanitaria in Yemen adottando un’importante risoluzione che richiama gli Stati membri al pieno rispetto della legge internazionale umanitaria, con emendamento ad hoc – votato con parere favorevole di 359 parlamentari (212 contrari) – finalizzato all’imposizione di un embargo delle armi nei confronti della coalizione saudita, coinvolta da quasi un anno nel sanguinoso e a lungo taciuto conflitto nel vicino Yemen.

Le Nazioni Unite e le maggiori organizzazioni internazionali hanno condannato a più riprese le gravi violazioni del diritto umanitario internazionale in atto nel conflitto yemenita, così come l’uso indiscriminato di armi e munizioni vietate come le bombe a grappolo, impiegate anche su obiettivi civili, come scuole e ospedali. Ci troviamo di fronte a crimini di guerra consumati senza troppa preoccupazione da parte di chi, oggi come ieri, ha dimostrato di poter contare sul benestare delle potenze occidentali quando si tratta di fare ingenti affari di Stato e acquistare sistemi d’arma. Le forniture militari continuano ad essere vendute all’Arabia Saudita da parte dei principali produttori del Vecchio Continente – Italia compresa – e quel che è peggio è che tutto avviene nella più totale inosservanza della posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio sul controllo delle esportazioni di armi.

Solamente la Germania, attraverso il Consiglio di sicurezza federale, ha deciso lo scorso novembre 2015 di interrompere ogni tipo di trasferimento di armamenti diretti al regno saudita, ovvero ad uno dei migliori clienti dell’industria bellica tedesca. Una scelta di civiltà che anche gli altri paesi europei avrebbero dovuto perseguire, indipendentemente dal voto di oggi a Strasburgo.

La tendenza però è tutt’altra. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), negli ultimi 5 anni (2011-2015) la vendita di armi verso il Medio Oriente è aumentata del 61%, e non a caso due dei maggiori compratori sono proprio il Qatar (+279%) e l’Arabia Saudita (+275%), ovvero i paesi impegnati nel conflitto in Yemen.

Generalmente chi compra armi con quelle percentuali di ordinativi non lo fa esclusivamente per rinnovare il proprio arsenale o per giocare la carta del deterrente bellico. Chi compra sistemi d’arma lo fa per prepararsi a guerre come quella che da marzo 2015, in Yemen, ha causato la morte di oltre 6.000 persone, di cui almeno la metà erano civili, e circa 700 erano bambini. Lo Yemen è un paese che già prima del conflitto a guida saudita era tra i più poveri del Medio Oriente. Ad oggi, più dell’82% della popolazione non ha accesso ai servizi di base e alle cure sanitarie. Dopo un anno di guerra gli sfollati sono più di 2 milioni. Si pensi che in Siria sono oltre i 6 milioni dopo 5 anni di conflitto.

Nelle scorse settimane, oltre 20 organismi non governativi europei che si occupano del controllo sul commercio degli armamenti hanno scritto una lettera di pressione ai presidenti e ai vicepresidenti dei gruppi politici al Parlamento Europeo affinché votassero nell’interesse di salvaguardare la popolazione yemenita, per il rispetto delle leggi umanitarie internazionali e per fermare la vendita di armi alle parti che alimentano il sanguinoso conflitto in Yemen.

Tra i firmatari di quell’appello diretto c’è anche la Rete Italiana per il Disarmo, partner italiano dello European Network Against Arms Trade. Da diversi mesi la Rete Disarmo chiede al Governo italiano chiarimenti sulle autorizzazioni alle esportazioni di bombe MK-80 prodotte dalla RWM Italia e dirette – prima via mare poi a più riprese via area – all’esercito saudita. A queste domande la politica non è riuscita a rispondere e quando lo ha fatto la maniera è stata del tutto evasiva. Anche per questo motivo, la Rete Disarmo ha deciso di passare all’azione legale, presentando in diverse Procure d’Italia degli esposti per violazione della legge 185/90, la normativa nazionale che vieta l’esportazione ed il transito di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto armato, i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

Oggi c’è grande soddisfazione per la decisione politica votata a Strasburgo, ma la questione è tutt’altro che risolta. Serviranno maggiori controlli parlamentari a livello europeo e nazionale, affinché siano rispettate in maniera più rigorosa le norme già esistenti, sia a livello internazionale, come il Trattato Internazionale sugli armamenti (ATT), sia a livello comune e nazionale. “Ce lo chiede l’Europa”, ma prima ancora a chiedercelo è lo Yemen.

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