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Nestlé: acqua per tutti? Ma stiamo scherzando?

L’amministratore delegato della multinazionale spiega il suo punto di vista su ogm, acqua e lavoro. «Solo un estremista può pensare che l’acqua debba essere accessibile a tutti».


L’intervista all’amministratore delegato della Nestlé Peter Brabeck, apparsa nel documentario “We Feed the World”.

Pensate, ci sono al mondo dei pericolosi estremisti che pensano che l’acqua sia un bene a cui tutti devono avere libero accesso. C’è anche chi pensa che i cosiddetti cibi Bio siano buoni e facciano bene. Ma sono, per l’appunto, estremisti. Non dovrete preoccuparvi, la Nestlé è qui per proteggervi da loro, vendendo cibi ogm e dando un valore commerciale all’acqua. Così ragiona Peter Brabeck. Ne è talmente convinto che non ha avuto problemi a dirlo apertamente in un’intervista video. Ah, dimenticavo, il signor Brabeck è un uomo d’affari austriaco, nonché amministratore delegato della multinazionale svizzera Nestlé.

Ecco il Brabeck pensiero: «Oramai si pensa che tutto ciò che è naturale è buono. È un grosso cambiamento. Perché poco tempo fa ci insegnavano che la natura è senza pietà. L’uomo oramai è capace di gestire gli equilibri naturali. Ma a dispetto di tutto questo, una dottrina si espande e installa l’idea che tutto quello che viene dalla natura è buono. I prodotti Bio, per esempio. Non ci sarebbe niente di meglio. I prodotti Bio non sono i migliori. Dopo quindici anni di consumo di alimenti geneticamente modificati nessuna malattia è apparsa fino ad ora. Ma in Europa ci preoccupiamo di quello che potrebbe accadere. Nuotiamo in piena ipocrisia».

E a proposito dell’acqua: «Nestlé è il più grande produttore di acqua minerale del mondo. Una canzone folkloristica qui da noi faceva: “Le bestie hanno bisogno di acqua, trallallì trallallà”. Vi ricordate? L’acqua è sicuramente la materia prima più importante sulla Terra. La questione su cui riflettere è: bisogna o no privatizzare l’approviggionamento dell’acqua? Su questa questione si scontrano due punti di vista. Il primo, che definirei estremo, è rappresentato dalle ong, per l’e quali l’accesso al’acqua dovrebbe essere nazionalizzato (quindi pubblico). In altre parole, secondo loro, tutti gli esseri umani dovrebbero avere libero accesso all’acqua. L’altro dice che l’acqua è un prodotto alimentare. E come tutti i prodotti alimentari ha un valore di mercato. È preferibile, secondo me, dare sempre un valore a un prodotto. Dunque, tutti noi siamo coscienti che tale prodotto ha un valore, e che possiamo attuare delle misure adeguate per i settori della popolazione che non hanno accesso all’acqua».

L’azienda e il lavoro: «Credo che la responsabilità primaria di un capo d’azienda sia di assicurare e preservare un avvenire redditizio e di successo alla propria azienda. Perché, soltanto se riusciamo a perpetuare la nostra attività possiamo partecipare direttamente alla risoluzione dei problemi del mondo. Noi abbiamo la responsabilità di creare nuovi posti di lavoro. Qua ne abbiamo creati 275.000, a cui bisogna aggiungerne altri un milione e duecentomila, che dipendono direttamente da noi, che fa un totale di quattro milioni e mezzo, visto che da ogni impiegato dipendono altre tre persone. Per creare posti di lavoro bisogna lavorare molto di più, bisogna creare un’immagine positiva del mondo. E io non vedo alcuna ragione per non vedere al futuro positivamente. Non abbiamo mai avuto una vita così facile. Non siamo mai stati così in salute. Abbiamo tutto quello che vogliamo. E nonostante ciò siamo tristi e malinconici».

L’intervista in questione (che potete ascoltare integralmente nel video) è stata realizzata per un documentario dal titolo “We Feed the World”.

Il settantenne Brabeck è alla guida della la più grande multinazionale alimentare del pianeta da oltre un decennio. La Société des Produits Nestlé S.A., con sede a Vevey, in Svizzera, produce e distribuisce una grandissima varietà di prodotti alimentari, dall’acqua minerale agli omogeneizzati, dai surgelati ai latticini. Fondata nel 1866 dal farmacista Henri Nestlé (che aveva sviluppato un alimento per i neonati che non potevano essere nutriti al seno a causa di particolari intolleranze), oggi la società impiega 278.000 persone in aziende sparse nei cinque continenti del globo e ha un fatturato di sessantotto miliardi di euro e un utile di quasi otto miliardi. Il suo slogan è «Good food, good life» (cibo buono, vita sana).

Per contrastare le politiche, giudicate nefaste, della multinazionale, negli anni Settanta è sorto il Comitato internazionale per il boicottaggio della Nestlé. Raccoglie le denunce che giungono da tutto il mondo, intenta cause legali, denuncia scandali e lancia campagne di informazione sui prodotti Nestlé e sulla politica dell’azienda. Eccone alcune.

La Nestlé viene accusata di una politica commerciale aggressiva e irresponsabile per quanto riguarda la promozione di latte per neonati nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto attraverso forniture gratuite a strutture ospedaliere. Secondo l’Unicef, la sostituzione dell’allattamento materno con il latte in polvere, avrebbe portato nei Paesi del Terzo Mondo alla morte di circa un milione e mezzo di bambini ogni anno, a causa di problematiche legate alla difficoltà di sterilizzazione dell’acqua e dei biberon utilizzati. Per queste ragioni l’Organizzazione mondiale della sanità adottò nel 1981, l’International Code of Marketing of Breast-milk Substitutes, un regolamento internazionale sulla promozione di surrogati del latte materno, linea guida non legalmente vincolante, al quale la Nestlé aderì nel 1982. Ma i controlli eseguiti nel 1988 dalla International Baby Food Action Network riscontrarono infrazioni da parte della Nestlé.

Nel 2002, l’agenzia Oxfam rivelò che la Nestlé aveva fatto causa all’Etiopia per sei milioni di dollari. L’Etiopia, uno dei Paesi più poveri del mondo, si trovava in un periodo di carestia e undici milioni di persone erano in pericolo di vita. La Nestlé aveva chiesto un risarcimento per un’azienda del settore agricolo di sua proprietà, nazionalizzata nel 1975 dal regime marxista di Mengistu.

Nel 2005, la Nestlé Purina commercializzò tonnellate di cibo per animali contaminato nel Venezuela. I marchi incriminati includevano Dog Chow, Cat Chow, Puppy Chow, Fiel, Friskies, Gatsy, K-Nina, Nutriperro, Perrarina e Pajarina. Morirono oltre quattrocento fra cani, gatti, uccelli e animali da allevamento. Il problema fu attribuito a un errore di un produttore locale, che aveva immagazzinato in modo scorretto il mais contenuto in tali cibi, portando alla diffusione di un fungo tossico nelle riserve. Nel marzo del 2005, l’assemblea nazionale del Venezuela stabilì che la Nestlé Purina era responsabile a causa di insufficienti controlli di qualità, e condannò l’azienda a risarcire i proprietari degli animali intossicati.

La Nestlé viene indicata come una delle compagnie (alimentari, cosmetiche o medicinali) che fanno uso di cellule HEK293 (una linea cellulare derivata da cellule embrionali renali umane), nella ricerca di nuovi esaltatori di sapore.

Nel 2005 l’ong International Labor Rights Fund, seguita da Global Exchange, denunciarono Nestlé e le aziende fornitrici di commodity, Archer Daniels Midland e Cargill per l’uso di manodopera ridotta in schiavitù, testimoniata da un caso di minori rapiti e portati illegalmente dal Mali alla Costa d’Avorio, e lì costretti a lavorare in piantagioni di cacao gratuitamente dalle dodici alle quattordici ore al giorno, con poco cibo e sonno, e frequenti percosse.

L’Organizzazione internazionale del lavoro stima che 284.000 minori lavorino nelle coltivazioni di cacao nell’Africa Occidentale, soprattutto in Costa d’Avorio, dove Nestlé è la terza compratrice mondiale. L’esportazione di cacao, oltretutto, sarebbe stata la principale fonte finanziaria per le forze militari della guerra civile.
Nel 2001 Nestlé e altri grandi produttori di cioccolato hanno firmato un accordo, il protocollo Harkin-Engel (o Protocollo sul cacao). Ciascuna azienda si prendeva l’impegno di non produrre cioccolato usando manodopera minorile, debitoria, forzata o proveniente da traffico di esseri umani. Il protocollo, secondo il più recente report dell’International Labor Rights Fund pubblicato nel 2008, sarebbe stato disatteso.

Nel 2009, la Nestlé italiana è stata condannata, insieme alla Tetrapak, al pagamento dei danni, per l’inquinamento del latte Nidina con Itx, un tipo di inchiostro.

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