Nella capitale libica si ode da giorni il tuonare dei cannoni. Nel solo fine settimana i morti sono stati novantacinque. Evacuate quasi completamente le ambasciate occidentali.
di Franco Fracassi
A Tripoli le ambasciate si stanno svuotando e gli stranieri sono in fuga. Sono due anni che per il mondo in Libia la guerra è finita. Eppure nel solo ultimo fine settimana ci sono stati cinquantanove morti. Gli inviati dei britannici “Guardian”, “Independent” e “Bbc” sono concordi: la battaglia sta infuriando alle porte della capitale.
Da una parte i Fratelli musulmani, dall’altra i miliziani del (laico) generale Khalifa Haftar, che ha dichiarato: «Ripulirò la Libia dai Fratelli Musulmani». Da una parte le milizie che vengono da Misurata, dall’altra i combatenti originari di Zintan. Una guerra tra clan. Una guerra di religione. Una guerra mossa da Turchia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Arabia Saudita contro potenti jihadisti provenienti dai Paesi del Golfo.
Haftar, ex generale di Gheddafi, è l’uomo di Washington. L’uomo d’affari Ahmed Matiq è l’uomo della jihad e dei servizi segreti sauditi, che si sono apertamente schierati contro i proprio re. Più o meno lo stesso schieramento che si contrappone in Egitto.
Secondo quanto riferisce il “New York Times”, «la Casa Bianca, di concerto con l’Arabia Saudita, è determinata a eliminare i Fratelli Musulmani dai Paesi attraversati dalla Primavera araba».
Si combatte duramente anche a Bengasi, casa per casa. Nel week end i morti sono stati trentasei. La città sta resistendo all’offensiva dei zintiani.
Con la morte di Gheddafi in Libia c’è stata una pacificazione celebrata solo dai media occidentali. In realtà, il conflitto è proseguito, specialmente nel sud del Paese. Le milizie vincitrici della prima fase della guerra civile avevano avviato una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei tuareg e dei neri che abitano le zone desertiche e ricche di petrolio. Oggi quelle popolazioni si stanno battendo al fianco di Haftar, in un’alleanza temporanea.
La cosa curiosa è che Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Turchia e Paesi del Golfo nel 2011 avevano apertamente appoggiato (anche con l’invio di truppe e i bombardamenti con l’aviazione) e armato proprio quei Fratelli Musulmani e quegli jihadisti che oggi stano combattendo.