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La verità sul liberista Jean Tirole, fresco Nobel per l’Economia

Fanatico del libro mercato, contrario ai contratti di lavoro a tempo indeterminato e contrario a regole che controllino le emissioni di gas serra.

di Franco Fracassi

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Fanatico del libero mercato al punto da voler abolire ovunque i contratti di lavoro a tempo indeterminato, da voler impedire qualsiasi regolamentazione dell’emissione dei gas serra, al punto di voler analizzare gli esseri umani solo dal punto di vista della sfera economica, senza tener conto delle passioni, degli interessi, dei gesti gratuiti. Per lui esistono solo comportamenti umani che hanno un valore economico e altri che non ce l’hanno. Questo campione mondiale del liberismo si chiama Jean Tirole. A quest’uomo è stato assegnato il premio Nobel per l’Economia, o premio della Banca di Svezia in scienze economiche in memoria di Alfred Nobel.

Il francese Tirole è uno degli economisti più influenti in circolazione. Tra le altre cariche, veste quella di presidente della Toulouse School of Economics, l’università francese costruita sul modello delle università di eccellenza statunitensi: ingaggi internazionali, salari basati sul merito, pubblicazioni nelle più prestigiose riviste di economia, ma soprattutto un’ortodossa dottrina neo-liberale bendisposta con la finanza. Il Fondo monetario internazionale lo considera come uno dei «venti ricercatori che modellano il nostro modo di pensare l’economia mondiale».

È uno che non si smentisce mai. La sua prima dichiarazione ufficiale subito dopo aver ricevuto la notizia è stata: «Bisogna riformare radicalmente il mercato del lavoro in Europa, che oggi è a dir poco disastroso».

A partire dagli anni Novanta Tirole si è distinto come un vero e proprio precursore nell’ambito dell’economia ambientale. Insieme al suo mentore, Jean- Jacques Laffont, è stato l’autore dei primi articoli scientifici nei quali si sosteneva la tesi dei «diritti di emissioni inquinanti», e si avanzava l’ipotesi che la finanza e il mercato fossero la soluzione giusta per la crisi ecologica. Un’ipotesi divenuta realtà con la creazione del mercato europeo dei «diritti di emissioni», detti Uts. Nel 2009 ha perfino redatto un rapporto, intitolato “Politique climatique: une nouvelle architecture internationale”, nel quale pronostica la creazione di un mercato mondiale dei diritti di emissione di gas serra.

deregulate industry

François Salanié, direttore dell’Istituto nazionale di ricerca agronomica, direttore del Laboratorio di economia delle risorse naturali e membro della Toulouse School of Economics: «Le politiche climatiche devono essere politiche economiche come tutte le altre: efficaci e capaci di far raggiungere gli obiettivi al minimo costo. Si chiama internalizzazione delle esternalità». In sostanza, si tratta di dare un valore economico a tutte le conseguenze indirette indotte da una qualsiasi attività economica. In questo modo, per esempio, l’inquinamento creato da una piattaforma petrolifera in pieno oceano potrebbe essere compensato finanziariamente a partire dal valore dato all’ecosistema che è stato inquinato. Se l’idea può sembrare semplice e di buon senso, in realtà nasconde conseguenze molto pericolose. «Senza un’autorità che fissi le norme da rispettare, la tassazione non può che fallire o creare una nuova bolla speculativa», spiega Jean-Marie Harribey, membro del consiglio scientifico di Attac e di Economistes Atterrés.

Secondo Harribey, queste politiche hanno fallito, come dimostra l’esempio dei diritti di emissione dianidride carbonica immessi nel mercato europeo a partire dal 2005. «Di fronte al numero di diritti di emissione distribuiti, il prezzo dell’anidride carbonica è caduto a meno di cinque euro per tonnellata, mentre dovrebbe essere almeno cinque o sei volte superiore. D’altra parte, a partire dal 1990 le emissioni mondiali sono aumentate del cinquanta per cento, mentre dovevano essere ridotte di oltre il cinque».

Quel che è peggio, è che contemporaneamente è nata una «finanza-carbone» che ormai specula sui diritti di emissione e sui contratti di assicurazione in vista di potenziali catastrofi naturali dovute ai cambiamenti climatici. A proposito di questo tipo di derivati, François Salanié, della Toulouse Schools of Economics, sostiene che «se ci sono problemi di questo tipo, è perché il mercato è stato mal concepito. L’importante è lasciare sempre la scelta agli attori: quelli che vorranno continuare a inquinare ne pagheranno il prezzo, quelli che troveranno che questo prezzo è troppo elevato inquineranno di meno. È quella che noi chiamiamo efficacia economica». «In sostanza, ci vogliono far credere che se il mercato fallisce, è perché non è stato spinto fino in fondo. È sempre lo stesso assurdo refrain, da oltre trenta anni. Una visione globale che ha preso le redini del potere per diminuire tutti i sistemi di regolazione collettiva a beneficio del mercato. La stessa logica la vediamo nel campo del mercato del lavoro, dei servizi pubblici, dei diritti dei lavoratori», conctrobatte Harribey.

Non per niente, la ricompensa attribuita oggi a Jean Tirole riguarda la sua «analisi del potenziale autoregolatore del mercato». Jean Tirole è alla radice di tutte le politiche di deregulation del mercato del lavoro, e propone la creazione di un contratto unico, che di fatto elimini i contratti a tempo indeterminato, oltre che l’abbandono puro e semplice dei piani industriali in nome dell’efficacia economica.

Ma la cosa più pericolosa, secondo Geneviève Azam, anche lei membro di Attac, è l’orientamento di Jean Tirole verso la neuroeconomia. «L’obiettivo di questa corrente di pensiero è di fondere tutte le scienze cognitive con l’economia». Si tratta di un approccio che Jean-Marie Harribey descrive nel dettaglio: «Di fronte al loro monumentale fallimento, una parte degli economisti neo-liberali sta cercando di incorporare le scienze cognitive all’interno della loro dottrina per fondare un’economia dei comportamenti». In sostanza, «si tratta di applicare il modello della razionalità economica all’insieme delle scelte che un essere umano fa nel corso della sua vita, prendendo in conto esclusivamente la loro dimensione economica».

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