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Cucchi in Cassazione: da rifare il processo ai medici del Pertini

La Cassazione stabilisce un nuovo processo per i medici del repartino penitenziario dove morì Stefano Cucchi

di Ercole Olmi

La protesta di Ilaria Cucchi dopo la lettura della sentenza del primo processo d'appello
La protesta di Ilaria Cucchi dopo la lettura della sentenza del primo processo d’appello

 

Solo a sera tarda la sentenza: la Cassazione ha annullato l’assoluzione di 5 medici del repartino penitenziario del Pertini, disponendo un appello-bis per l’omicidio colposo di Stefano Cucchi che s’è verificato in fondo a un calvario tra il 16 e il 22 ottobre del 2009. Definitivamente assolti tre guardie di polizia penitenziaria, il medico che per primo visitò Cucchi e tre infermieri. Tutto ciò pochi giorni dopo la svolta dell’inchiesta bis della Procura di Roma che vede cinque carabinieri iscritti a vario titolo nel registro degli indagati per il violentissimo pestaggio che seguì all’arresto e la strategia di insabbiamento delle prove.

 

La sorella Ilaria parla di «nuovo inizio». «I medici sono responsabili della morte di mio fratello, se lo avessero curato non ci sarebbe alcun motivo di parlare di lui e della sua vicenda».

Era cominciata verso le 11 davanti alla V sezione penale della Cassazione l’udienza per il caso di Stefano Cucchi nell’ambito della quale i supremi giudici dovevano decidere se accogliere o meno il ricorso della Procura di Roma e della famiglia Cucchi contro l’assoluzione di tre agenti della Polizia penitenziaria e nove tra medici ed infermieri dell’ospedale romano Sandro Pertini. 

Quanto sta emergendo nella nuova inchiesta della Procura di Roma, ha persuaso i familiari di Stefano Cucchi a rinunciare al ricorso contro i membri della polizia penitenziaria, come ha spiegato Fabio Anselmo: «Registriamo le richieste del procuratore generale e prendiamo atto – ha spiegato il difensore dei Cucchi e anche legale di parte civile dei casi Uva, Ferrulli, Budroni, Magherini, Bifolco e altri.- dell’avvio di una indagine della Procura di Roma finalizzata all’individuazione dei responsabili di quello che la stessa procura non esita a definire ‘un violentissimo pestaggio’».

La famiglia di Stefano Cucchi ricorreva in Cassazione soltanto nei confronti dei tre agenti di polizia penitenziaria in quanto con i medici è già avvenuta una transazione. Ma per il pg Nello Rossi, devono essere annullate le assoluzioni accordate ai cinque medici dell’ospedale Pertini di Roma dove Stefano Cucchi morì nel 2009. I referti dell’ingresso di Stefano Cucchi nella struttura protetta dell’ospedale romano ‘Pertini’ «devono essere considerati come un capitolo clamoroso della sciatteria e trascuratezza della assistenza riservata a Cucchi al Pertini».  «A fronte della estrema e vistosa magrezza del Cucchi al suo arrivo al Pertini (tale da costringere a praticargli le iniezioni di antidolorifico sul deltoide e con aghi più piccoli del normale) e delle sue condizioni di paziente fratturato e cateterizzato, all’esame obiettivo eseguito, dalla dottoressa Caponnetti poi assolta anche dal reato di falso ideologico perchè ritenuta solo superficiale, il Cucchi risultava così descritto: condizioni generali buone, stato di nutrizione discreto, apparato muscolare tonico, apparato urogenitale con nulla da rilevare!». Rossi ha fatto presente che Cucchi pesava solo 34 chili. Il pg ha inoltre aggiunto che «dati come questi non possono semplicemente ‘sparire’ o essere relegati in secondo piano nel ragionamento del giudice di appello che nella sua motivazione deve farsi carico, se vuole ribaltare le conclusioni dei giudice di primo grado, di spiegare come possa essere ritenuta adeguata ed attenta l’accoglienza al ‘Pertini’ del paziente Cucchi che nonostante il suo stato complessivo e nonostante avesse il catetere inserito dal medico dell’ospedale ‘Fatebenefratellì viene qualificato all’ingresso come un soggetto in buono stato sul quale non c’è nulla da rilevare neppure in ordine all’apparato urogenitale». Ad avviso del pg Rossi andava valutato «anche il comportamento tenuto dalla Caponnetti anche per valutare gli standard di assistenza forniti al Pertini». Ma per questa dottoressa Rossi non ha potuto chiedere un nuovo rinvio all’appello bis per mancanza sul punto di specificità del ricorso della Procura di Roma. Secondo Rossi dati di questo genere «non possono sparire quando si analizza la vicenda di un paziente morto dopo una settimana di ospedale».

Bene,per il Pg, le assoluzioni ai tre agenti di Polizia penitenziaria poiché bisogna prendere atto che «gli accertamenti compiuti sui tre agenti non hanno portato a trovare responsabilità». L’invito della pubblica accusa di piazza Cavour è stato a non mettere «una pietra tombale sulle cause della morte di Cucchi, persona morta in un ospedale pubblico che è stata violata nella dignità».

La Procura generale della Cassazione, attraverso le parole di Nello Rossi, sostituto procuratore generale nel processo in Cassazione, ha anche espresso un giudizio positivo sulla nuova inchiesta della Procura di Roma che, venerdì scorso a distanza di sei anni dai fatti, ha fatto richiesta di incidente probatorio nei confronti di alcuni carabinieri chiedendo al gip una nuova perizia medico-legale sulle lesioni patite da Cucchi subito dopo l’arresto. Nel dettaglio, il pg ha evidenziato come la sentenza d’appello non abbia fornito «risposte congrue a temi cruciali». Da qui il suo appello affinchè la Corte possa dare una risposta a tanti «interrogativi inquietanti» sulle violenze subite da Cucchi e sulle ragioni della sua morte. Uno di questi sta nel silenzio tenuto da Stefano Cucchi sui pestaggi. «Perchè Cucchi – ha chiesto Rossi – ogni volta che si è trovato davanti ad una autorità dello Stato non ha mai detto di essere stato pestato? Il suo è un silenzio inquietante che ha reso difficile l’accertamento della verità. Un silenzio emblematico rimasto tale anche al momento del ricovero». A questo proposito il pg di Piazza Cavour si è chiesto se il silenzio del geometra sia stato motivato da una sorta di «senso di sfiducia» nei confronti delle istituzioni per la paura delle conseguenze che sarebbero derivate per lui dopo la scoperta «dei quantitativi di droga, non solo in suo possesso al momento dell’arresto ma anche nella sua abitazione».

«Tutti i ricorsi – ha osservato Rossi – dicono che la sentenza d’Appello è illogica e per questo deve essere annullata ma scelgono approcci diversi. Per la Procura di Roma, infatti, le violenze ai danni di Cucchi sono state poste in essere da agenti dopo la convalida dell’arresto di Cucchi. Secondo le parti civili le violenze a Cucchi sarebbero state messe in atto prima dell’udienza di convalida di arresto». Ebbene, a detta del Pg il ricorso della Procura, sulla responsabilità dei tre agenti penitenziari, «è del tutto privo di fondamento in quanto – ha sottolineato Rossi – questo motivo di ricorso è frutto di congettura priva di agganci concreti».

Una delegazione di Acad sta seguendo la discussione, solidale, come sempre, con Ilaria, Rita e  Giovanni, la sorella e i genitori di Stefano.

Quello di oggi è il riesame in suprema corte del processo scaturito dalla prima inchiesta, quella a ridosso dei fatti e che lasciò in un cono d’ombra il ruolo dei carabinieri intervenuti nella vicenda. Più volte anche il Dap avrebbe chiesto di fare luce su «altre amministrazioni dello Stato» ma all’epoca il ministro berlusconiano della Difesa, La Russa, parve entrare a gamba tesa nell’inchiesta con un proclama che scagionava, a prescindere i carabinieri. «Quello che è successo – ha affermato in quei giorni – non sono in grado di dirlo in quanto si tratta di una competenza assolutamente estranea al ministero della Difesa, in quanto attiene da un lato ai carabinieri come forze di polizia, quindi al ministero dell’Interno, dall’altro al ministero della Giustizia. Quindi non ho strumenti per accertare, ma di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione». In quel tempo i carabinieri erano stati scossi, a Roma, dalla sporca faccenda di un rumeno poverissimo sbattuto in prima pagina come mostro della Caffarella e poi risultato totalmente estraneo (il pm era il medesimo del caso Cucchi) e dal caso di quattro carabinieri finiti sotto processo per un tentativo di ricatto ai danni dell’allora governatore del Lazio, Marrazzo. Indipendentemente dalla possibilità che lo stesso La Russa fosse al corrente dei fatti, la Ragion di Stato imponeva che sulla Benemerita non pendessero altri scandali. Spesso, l’omertà dall’alto si sposa meccanicamente con lo “spirito di corpo” dal basso per coprire storiacce di malapolizia. Altre volte, è il caso di Coisp, Sap e politici come Giovanardi, egli stesso ex carabiniere, si assiste a dichiarazioni sconcertanti che a molti appaiono quasi una rivendicazione di ogni gesto compiuto da personale in divisa e sicuramente sono uno schiaffo ulteriore al dolore dei familiari delle vittime di abusi in divisa come riconosciuto anche di recente dal tribunale di Roma che ha archiviato la querela del capo del Coisp ai danni di Ilaria Cucchi, Lucia Uva e Checchino Antonini di Popoff.  

Dal processo oggi in discussione non sarebbero venuti fuori i colpevoli della morte di Stefano Cucchi ma sono emerse le contraddizioni nelle deposizioni dei militari dell’Arma e le prove del calvario patito dal giovane geometra romano tra l’arresto e l’arrivo in tribunale e poi nel peregrinare tra carcere e repartino penitenziario del Pertini, hanno spinto all’apertura di un’inchiesta bis che, proprio in questi giorni, ha registrato la richiesta di incidente probatorio per i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco indagati per lesioni aggravate e, per falsa testimonianza altri due carabinieri Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini. L’accusa ipotizza un violentissimo pestaggio e una successiva strategia di insabbiamento delle prove.

[segue]

2 COMMENTI

  1. è il solito teorema se un poliziotto/commissario in una stanza con 4/5 anarchici vola daòlla finestra è omicidio,se l’anarchico vola dalla finestra è suicidio……..polizia del popolo……….no pasaran

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