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“Non mi lascio toccare da un negro”

Infermiera che non vuole visitare un “negro”, pazienti che rifiutano le cure da un “negro”. Accade tutti giorni negli ospedali italiani. Discriminazioni aumentante del 30%

di Marina Zenobio

Continua ad accadere, anche in ambito ospedaliero. Il razzismo è duro a morire, non solo quando si tratta di un disgraziato di immigrato che vuole lavarti il vetro dell’automobile o venderti un accendino. Anche quando si ha di fronte un professionista il rigetto per il “diverso” sale dalle viscere più profonde, dove si annida la meschina cultura dell’intolleranza.

Accade così che una paziente ricoverata nell’ospedale di Cantù si rifiuta di farsi visitare da un medico perché di origine africana. “Non mi lascio toccare da un negro”, è quanto si è sentito rispondere Andi Nganso, medico trentenne di origine camerunese, adottato da una coppia italiana all’età di 12 anni.

La prima reazione del medico è stata tra le più eleganti: “La ringrazio, signora, ho un quarto d’ora in più per prendermi un caffè”. Ma poi la comprensibile rabbia lo ha portato a condividere la brutta esperienza su Facebook scrivendo sul suo profilo che “in diverse occasioni mi sono trovato davanti a pazienti che non sono riusciti a dissimulare la sorpresa e probabilmente anche la contrarietà. Una volta una bambina mi fece notare con stupore che ero una persona gentile, mentre i suoi genitori le ricordavano sempre di non parlare con gli uomini neri. In altri casi, con una scusa qualsiasi, i pazienti hanno lasciato l’ambulatorio. Non mi indigno, ma questa volta la reazione della paziente mi ha lasciato di ghiaccio”. Il post è rimasto in pagina poche ore prima che il dottor Nganso decidesse di eliminarlo.

Il caso è stato condannato dall’Associazione di Medici di Origine Straniera in Italia (AMSI) e da altre associazioni di categoria. “Siamo stanchi del ripetersi di gravi episodi di razzismo. E se il razzismo cresce in Italia dobbiamo domandarci il perché…”, ha dichiarato Foad Aodi, Presidente di AMSI aggiungendo “Ci rincresce riscontrare che le discriminazioni nei confronti del personale medico di origine straniera sono aumentate del 30% sul posto di lavoro, in luoghi pubblici anche nelle richieste di abitazioni in affitto, concessioni o prestiti dalle banche”.

Intervistato da Agorà, il dottor Nganso ha dichiarato che “L’intelligenza, il rispetto per la persona purtroppo hanno smesso di albergare nelle anime delle persone”.

Ma accade anche il contrario, se possibile ancora più grave per il ruolo ricoperto da una dei protagonisti. Come il recente caso di Musah Awudu, ghanese 37enne mediatore culturale che collabora con la Caritas a Benevento. Dopo un banale incidente domestico, Awudu si reca al pronto soccorso dell’ospedale civile locale per essere medicato. Ma l’infermiera di turno invece di chiedergli come sta gli chiede “perché sei venuto in Italia”? E’ visibilmente infastidita, racconta l’uomo in diretta sul suo profilo Facebook . Il soccorso per Musah non era pronto. Chiede alla donna, per favore, di occuparsi della sua ferita, ma l’infermiera seccata risponde: “No no, questo è il mio paese e se non ti piace torna in Africa”. L’uomo la richiama alla carità cristiana, visto i numerosi quadri di padre Pio appesi alle mura dell’ambulatorio, ma l’infermiera sbotta rabbiosa “Viva Salvini, via l’Italia”.

Non sappiamo se, alla fine, la ferita di Musah è stata curata, ma quella di un altro tipo, provocata dal gravissimo comportamento dell’infermiera, tra l’altro in servizio in una istituzione pubblica, sarà molto più profonda. Ciò nonostante Musah ha scusato l’infermiera, “forse troppo stanca” invitandola ad un incontro per conoscersi. In risposta l’infermiera ha sporto denuncia, giurando di non aver mai pronunciato quelle parole e di avere testimoni pronti a sostenere la sua tesi.

Nota positiva di queste due storie, paradigma di quanto accade quotidianamente nei nostri ospedali, è la solidarietà che almeno sui social è stata dimostrato nei confroFacebooknti del medico camerunese e del mediatore culturale ghanese.

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