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Gioia Tauro, ancora morte nella baraccopoli

Baraccopoli di S.Ferdinando, un ventinovenne del Senegal muore nell’incendio della sua baracca. La tragedia nel feudo mafioso dove Salvini ha fatto il pieno

Si chiamava Moussa Ba, di 29 anni, del Senegal, ed è stato ucciso nell’incendio divampato la notte scorsa nella baraccopoli di San Ferdinando, nella Piana di Gioia Tauro, feudo della ‘ndrangheta dove Salvini ha fatto il pieno di voti. La baraccopoli, d’inverno, si riempie di immigrati che da anni servono ai padroncini locali per la raccolta degli agrumi. Sciacalli bipartizan si contendono il finto sdegno per questa ennesima morte nella favela. Da una parte Salvini, governo attuale, che promette di sgomberare la baraccopoli dove, a suo dire, gli immigrati preferirebbero illegalità e degrado alla sua accoglienza. Dall’altra esponenti del Pd, governo in carica fino a nove mesi fa, che adopera registri retorici e compassionevoli che non possono essere consentiti agli inventori dei decreti Minniti-Orlando, del jobs act e dei lager per migranti.

L’identificazione del corpo di Moussa Ba è avvenuta in mattinata dopo che nel corso della notte, gli stessi migranti avevano indicato la vittima come “Aldo” Diallo. L’equivoco è nato perché Diallo mancava all’appello. In mattinata, poi, l’uomo è stato rintracciato e gli investigatori della Polizia di Stato hanno identificato Ba come la vittima dell’incendio. L’uomo viveva in una piccola roulotte all’interno del campo. Le fiamme sono divampate in una baracca ad una quindicina di metri da dove si trovava, ma si sono rapidamente propagate a causa del materiale usato per costruire le baracche, legno, plastica e cartoni. Ba è stato colto nel sonno e non ha avuto scampo.

«Ancora una volta ci troviamo davanti a tragedie annunciate, che, al di là dei proclami e di alcuni tentativi di soluzioni, non si riescono ad arginare veramente – dice Ivana Galli, segretaria generale Flai Cgil – è chiaro che il nodo del problema è nella condizione lavorativa e abitativa di tanti giovani stranieri impiegati nel lavoro agricolo nella Piana di Gioia Tauro, che vengono sfruttati e sottopagati e non posso permettersi nulla di più di una baracca alla tendopoli. Torniamo a chiedere che le istituzioni intervengano con piani adeguati e soluzioni che la normativa consente. Altrimenti periodicamente saremo a piangere per giovani vite spezzate, ragazzi che conosciamo, che incontriamo per informarli e aiutarli nel chiedere un lavoro giusto e non sfruttato. Ora basta serve intervenire, non abbiamo bisogno di commissioni. Saremo a San Ferdinando per chiedere di smetterla con chiacchiere dolose».

Infatti sono tre le vittime di incendi nella baraccopoli di San Ferdinando registrate in un anno. Il 27 gennaio 2018 perse la vita una 26enne nigeriana, Becky Moses. In quel caso l’incendio fu doloso. Pochi mesi dopo la polizia ha fermato una donna ritenuta la mandante del rogo, fatto appiccare per gelosia. Il 2 dicembre 2018, morì Surawa Jaith, del Gambia, che avrebbe compiuto 18 anni pochi giorni dopo. In precedenza, nella baraccopoli dove nel periodo invernale vivono anche migliaia di migranti impegnati nei lavori di raccolta degli agrumi nei campi della piana di Gioia Tauro, si erano verificati altri incendi che non avevano causate vittime solo per puro caso. Anche in questa occasione la Prefettura torna ad annunciare un piano per trasferire, nel breve periodo e previe le necessarie verifiche di legge, i braccianti che vivono nella baraccopoli di San Ferdinando. Il piano è stato approntato nel corso della riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato dal prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari. “Questo nelle more dell’attuazione di forme di accoglienza diffusa per le quali la Regione ha manifestato disponibilità a contribuire con strumenti che incentivino le locazioni”, recita la velina diffusa dalle agenzie. Nel campo la tensione si taglia con il coltello, c’è chi vorrebbe fare un corteo.

Da una parte la crisi occupazionale del porto, con gli annunciati licenziamenti di Mct, le frenetiche trattative per non far chiudere lo scalo, che da giorni è bloccato dalle proteste dei portuali, e dall’altra il ghetto dei migranti dove i rischi di morte a causa degli incendi si susseguono ogni notte. Le tensioni salgono ora dopo ora e lo Stato cerca soluzioni. Si temono pericolosissimi incroci di proteste e di drammi sociali di molti.

Il ghetto di San Ferdinando va eliminato ma «il problema non si risolve con la solita ricetta persecutoria annunciata ancora una volta dal ministro dell’Interno: sgomberare il campo di San Ferdinando, senza preoccuparsi di dove saranno collocati i suoi occupanti», dice a Salvini uno dei segretari nazionali della Cgil, Giuseppe Massafra. «Da tempo come Cgil stiamo chiedendo alle istituzioni di adottare politiche di integrazione vera e stabile, affrontando nel frattempo l’emergenza attraverso la dotazione di nuclei abitativi provvisori ma sicuri. Quel ghetto – conclude Massafra – va eliminato, perché alimenta un’economia tutta funzionale alla criminalità organizzata, dallo sfruttamento della prostituzione, al reclutamento di manodopera sfruttata nel lavoro nei campi, ma servono soluzioni e interventi in grado di garantire il rispetto dei diritti umani fino ad oggi palesemente negati».

Era in Italia dal 2015 Moussa Ba. Quell’anno, l’uomo aveva ottenuto la concessione della protezione umanitaria dalla commissione territoriale di Trapani. E’ stato titolare del permesso di soggiorno, sempre per motivi umanitari, che è scaduto nel marzo del 2018 e non è stato rinnovato per mancata presentazione della documentazione. La sua è la storia di tanti altri, spinti nel circuito della microcriminalità dal clima di questo Paese incapace di garantire la dignità di nativi e migranti dove i governi che si succedono da decenni costruiscono la guerra tra i penultimi e gli ultimi mentre smantellano diritti sociali e civili.

«No alla strumentalizzazione salviniana dei morti nella baraccopoli, esigiamo l’attuazione degli accordi per l’accoglienza diffusa», scrive Usb in una nota del Coordinamento lavoro agricolo ricordando anche la fine di Soumaila Sacko, il delegato Usb fucilato nello scorso giugno da Antonio Pontoriero (il 19 riprenderà il processo), e di Sekinè Traorè, ammazzato da un carabiniere tre anni fa. Quando il prefetto annuncia che l’osiptalità avverrà “previa le necessarie verifiche di legge”, la traduzione, per Usb è «chi è in regola sarà rinchiuso in un altro recinto, meno precario, ma chi non lo è, subirà la vendetta salviniana, fatta di infernali gironi poliziesco-giudiziari. L’Usb pretende ora l’immediata attuazione degli accordi raggiunti ai tavoli prefettizi, dice no a qualsiasi tentativo di prendere a pretesto la morte di Moussa Ba per usare il pugno di ferro contro i braccianti e, soprattutto, dice no alle strumentalizzazioni del ministro Salvini che, eletto proprio in Calabria, della situazione calabrese si è sempre disinteressato. Salvo scaricare, come vergognosamente fatto questa mattina, la responsabilità dei morti sugli stessi braccianti. L’Unione Sindacale di Base conferma la riunione del Coordinamento dei lavoratori agricoli già indetta per lunedì 18, alla vigilia della ripresa del processo per l’assassinio di Soumaila Sacko, e presidia con i propri delegati e attivisti San Ferdinando per evitare qualsiasi colpo di mano autoritario».

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