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Agnoletto: M5S complice di De Gennaro

Genova 20 luglio, con Carlo nel cuore. Centinaia in piazza Alimonda. La solita provocazione di un sindacatino di polizia. Il ricordo di ZeroCalcare

da Genova, Checchino Antonini

«Il modello alternativo al sistema che noi proponevamo è stato distrutto con la repressione. La storia, sancita e suggellata dalle sentenze, non si può cambiare. Ci vuole rispetto: Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Genoa social forum al G8 di Genova 2001 nel giorno del diciottesimo anniversario della morte di Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola durante le cariche illegittime dei carabinieri contro un corteo regolarmente autorizzato (è una risultanza processuale che non piace ricordare ai politici e ai giornalisti mainstream) in piazza Alimonda. La storia di Genova non si può cancellare, ha detto  il medico milanese commentando la proposta di rimuovere il cippo a Carlo Giuliani in piazza Alimonda da parte di un sindacatino di destra di polizia, Fsp, la sigla in cui è transitato quel Maccari, ex Coisp, famoso solo per i suoi attacchi a Carlo Giuliani e ad altre vittime di abusi e loro familiari.

E attacca, Agnoletto, il Movimento 5 Stelle, «complice» una volta al Governo. «Ci sono state per anni dichiarazioni nette di dirigenti del Movimento 5 Stelle e dello stesso Grillo scandalizzate quando a De Gennaro (capo della polizia durante il G8 di Genova) è stata affidata alla direzione di Finmeccanica. Ora che sono al Governo – continua Agnoletto – da lì non lo hanno minimamente rimosso. Oggi che abbiamo tutta la verità su quello che è successo in quei giorni, quando perfino il capo della Polizia Gabrielli ha dichiarato “fossi stato io De Gennaro, allora mi sarei dimesso”, chiedo ai 5 Stelle perché non hanno dato seguito a quanto sostenevano all’opposizione. Abbiamo una legge sulla tortura praticamente inapplicabile, la revisione e il suo aggiornamento non sono stati messi all’ordine del giorno e governano col partito che allora aveva come ministro della Giustizia Castelli che andò a Bolzaneto e disse “non è successo assolutamente nulla”».

«L’oggetto di quest’anno – ha detto dialogando con Popoff in piazza Alimonda – è che, sconfitto il movimento, il Paese è stato consegnato alle destre dal centrosinistra, noi abbiamo trovato il muro totale quand’era al governo, siamo rimasti senza nessuna interlocuzione politica. E ora la protesta la cavalca la Lega: anche Mussolini diceva di essere contro il sistema ma veniva finanziato dagli agrari. La Lega è una variante del neoliberismo».

«Si può tentare di cancellare i segni, non quello che è stato a Genova e, soprattutto, non l’omicidio di un ragazzo di 23 anni. Il vizio di pensare che si possa cambiare la storia semplicemente occultandone le tracce, manipolando le informazioni, si afferma nel tempo in cui l’informazione è diventata una questione di potere. Il tentativo di imbrogliare le carte è tipico di chi ha torto e ha problemi grossi a dire come sono andate le cose», ha detto anche Luca Casarini all’epoca portavoce del «movimento delle Tute Bianche», poi diventati i «disobbedienti», commentando la richiesta di rimuovere il cippo in memoria del 23enne in piazza Alimonda. «Resta nella carne e nel sangue di questo Paese il fatto che un ragazzo di 23 anni è stato ammazzato in una piazza dove sono stati violati sistematicamente i diritti fondamentali delle persone – aggiunge Casarini – dove ci sono state torture a cielo aperto ma anche al chiuso, a Bolzaneto, alla Diaz. Le responsabilità sono di tipo politico, di chi dava gli ordini, di chi ha deciso che quel movimento andava spazzato via con la violenza, di chi ha pensato che fosse facile presentare quel movimento come una banda di delinquenti e quindi fosse legittimato tutto, nel racconto dei vincitori. In quei giorni a Genova è stata violata la Costituzione italiana, è stato deciso di sospendere la democrazia».

Come ogni anno, un lungo applauso ha ricordato alle 17.27 il momento in cui Carlo Giuliani è stato ucciso dal colpo di pistola sparato dal carabiniere Mario Placanica il 20 luglio del 2001. 3-400 persone hanno partecipato alla annuale ricorrenza tra musica e interventi dal palco. Fiori, striscioni (anche uno che diceva: “Disobbedire a Salvini”) e una scritta sull’asfalto con i gessetti colorati proprio nel punto in cui Carlo finì a terra, investito per due volte dalla camionetta dei carabinieri dopo che era crollato a terra. «E’ importante non dimenticare – ha detto il padre, Giuliano Giuliani – perché soltanto continuando a ricordare si può anche continuare a pretendere un po’ di verità. Una verità che hanno voluto calpestare con imbrogli, perizie incredibili e cose squallide. E allora la cosa importante è che la gente qui questa cosa la vuole continuare a fare». Per il padre di Carlo «bisogna insistere, continuare a pensare che sia possibile affermare la verità e pretendere che il paese cambi direzione politica e torni a essere un paese onesto e serio».

Il ricordo di ZeroCalcare

18 anni fa mi svegliavo accartocciato tra gli spalti di una piscina coperta, perché il campo della sciorba si era allagato colla pioggia e un ciccione pezzodimerda turcomipare si era preso tre sacchi a pelo, tra cui il mio, per farsi un materasso comodo in mezzo alla fanga e io non ero riuscito né a sfilarglielo da sotto al culo né a svegliarlo per rosicargli.
Eppure m’ero svejato bene, probabilmente perché c’avevo 17 anni perché se mi succedesse oggi starei ancora a bestemmià per il mal di schiena, però non potevi rosicà quella mattina a genova perché c’era fomento e un sacco d’elettricità nell’aria. Siccome tanto la sera dovevamo tornare a dormire in quel posto io ero uscito lasciando lì lo zaino con dentro una maglietta a cui tenevo un sacco dell’antinazi league, peraltro la stessa che mi aveva fatto pià un sacco di botte l’anno prima per strada a bologna ma io m’ero mezzo incaponito a volerla mettere sempre va a capì perché.

Non l’ho mai più recuperato quello zaino, né quella maglietta, perché dopo una giornata passata a correre col cuore in gola, a respirare quelle merde di lacrimogeni, a vedere i vecchi e i ragazzini massacrati di botte dal blocco blu, a pigliare le pizze financo dalla forestale, a scoprire che lì vicino avevano appena sparato in faccia e ammazzato un pischello, alla fine di quella giornata che non aveva nulla di normale e di conosciuto per me, cogli amici miei ci eravamo detti ma cor cazzo che tornamo a dormire là, questi stanotte sicuro imboccano e ce vengono a massacrà pure là, buttamose a dormì nel giardino di un ristorante.
Avevamo imbroccato la profezia generale ma sbagliato i dettagli, anticipato di 24 ore e toppato di poco le coordinate (la sciorba invece della diaz), a saperlo col senno del poi potevo recuperà zaino e maglietta. Che comunque mi sento di dire non portava particolarmente fortuna.

Mi chiedo ogni anno se c’ha senso continuare a ricordare ogni 20 luglio che stavamo a fa quel giorno, che non stavamo a fa, a scrivere cose retoriche che boooh.
Poi mi ricordo che l’altra parte lo fa ancora, continua a raccontare la sua versione della storia, una versione in cui l’unico morto di quella giornata lo chiamano assassino, in barba a qualsiasi logica linguistica o semantica. Una versione che evidentemente è passata, se chi non c’era e manco era nato è convinto di sapere che c’erano torti e ragioni da entrambe le parti, come se ci potesse essere una sola ragione al mondo per un apparato statale che massacra di botte a freddo centinaia -migliaia?- di persone, poi le va a rastrellare di notte mentre dormono e le continua a pestare e torturare nelle caserme e confeziona e nasconde delle false prove per assolversi.
L’altra parte non molla di un centimetro, nel raccontare quella storia come je pare a loro e nel far scontare tutto a quei pochi che hanno pagato per tutti, che ancora oggi si barcamenano tra galera, semilibertà, processi e spese legali.

E allora penso che è giusto che continuiamo pure noi, che forse un po’ serve anche questo e se non serve almeno ci aiuta a scremare i contatti di facebook, ché il 20 luglio fa uscire le facce da cazzo da sotto i sassi come le lucertole colla pioggia.

Vabbé, se noi oggi semo così, è perché 18 anni fa stavamo là.

 

 

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