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Cile, dal riot nel metrò allo sciopero generale?

Cile, dopo le proteste e l’uccisione di almeno 11 persone e 1500 arresti, i portuali proclamano lo sciopero

Da un giorno all’altro, migliaia di persone che vivono a Santiago del Cile, la capitale, e in tutto il paese, hanno opposto resistenza ai loro governanti. Gli incendi volontari nelle stazioni della metropolitana, le barricate, i “cacerolazos” hanno incendiato il paese dal venerdì alla domenica mattina, le tre principali città (Santiago, Concepcion nel sud e Valparaiso) sono sotto coprifuoco ogni sera e lo stato di emergenza costituzionale è stabilito. Il bilancio provvisorio è di quasi 1500 ersone arrestate dichiarate dalle autorità di cui circa 650 nella sola capitale Santiago. 11 i morti, secondo il sindaco della regione Metropolitana di Santiago del Cile, Karla Rubilar, uccisi durante gli episodi di saccheggi in diverse zone di Santiago. Cinque uomini sono morti per via di un incendio in un magazzino di un’azienda tessile, quattro in supermercati e due in un negozio di prodotti per l’edilizia.

Alcune filiali bancarie sono state riaperte nella zona est della capitale cilena, mentre i supermercati sono praticamente chiusi e pochissime persone viaggiano in città, soprattutto dopo che le attività educative sono state sospese nell’area metropolitana di Santiago. Le autorità – mediante un rapporto del generale Mauricio Rodrguez, capo della polizia dell’area metropolitana di Santiago – hanno riferito che domenica 819 persone sono state arrestate e 67 agenti di polizia sono rimasti feriti.

«Siamo in guerra contro un nemico potente che è pronto ad usare la violenza senza nessun limite». È quanto ha detto il presidente cileno Sebastián Piñera, lo stesso mistificatore che poche ore prima dello scoppio delle proteste aveva definito il suo paese come un’«oasi» rispetto ad altre zone dell’America Latina. Piñera si è scagliato contro i «vandali» che «hanno distrutto la metropolitana, che è essenziale per la popolazione e poi si sono messi a distruggere i supermercati ed hanno tentato di attaccare gli ospedali».

Aumento del prezzo della metropolitana

Il 13 ottobre, a Santiago, in seguito all’annuncio del governo dell’aumento del prezzo della metropolitana, che permette a tre milioni di persone di viaggiare in città ogni giorno, sono stati lanciati appelli sui social network che hanno portato centinaia di giovani a “evadir”, saltare i tornelli della metropolitana, forzare l’apertura dei cancelli, occupare le banchine delle stazioni. Una forma di lotta che aveva già avuto luogo occasionalmente negli ultimi anni.

Recentemente sono state approvate due leggi che criminalizzano i giovani: la legge “Aula segura” (classe sicura) che criminalizza ed espelle i giovani che si mobilitano nei loro luoghi di studio e la legge sul controllo preventivo che consente il controllo dell’identità a partire dai 14 anni. Le scuole superiori di Santiago hanno sperimentato forti mobilitazioni locali contro questa politica repressiva per un anno. La loro protesta aveva una base per sfidare l’intero paese: contro l’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana. Un accumulo di esperienze che certamente ha dato il suo carattere massiccio alle prime esperienze politiche di “evadir” nella metropolitana all’inizio della settimana.

Il 17 ottobre, il sindacato dei lavoratori della metropolitana, membro della Cut, la centrale unitaria dei lavoratori, ha organizzato una conferenza stampa per sostenere gli studenti, denunciare la presenza della polizia nella metropolitana e la repressione, per la nazionalizzazione del sistema dei trasporti e una tariffa sociale. Il 18 ottobre è stata lanciata una nuova chiamata anonima sui social network per tutta la popolazione. Migliaia di persone, “l’intera classe operaia della città”, raccontano i militanti cileni, prendono d’assalto spontaneamente le stazioni, anche se sorvegliate dalla polizia e dall’esercito. La notte della protesta si è conclusa con 78 stazioni bruciate e diversi supermercati saccheggiati. La polizia non è riuscita a controllare l’insurrezione spontanea.

Stato di emergenza

Sabato scorso, il presidente conservatore di destra, Sebastian Piñera, ha annunciato uno stato di emergenza che limita il diritto di riunione e di movimento, permettendo ai militari di muoversi per le strade. Questo dispositivo è stato utilizzato una sola volta dalla fine della dittatura in Cile: durante il terremoto di Concepcion, nel sud del paese. Il coprifuoco è stato introdotto anche nelle tre principali città del paese, consentendo la presenza militare per le strade e la detenzione di chi non lo rispetta. Piñera ha anche annunciato il ritiro dell’aumento del prezzo della metropolitana. Ma il provvedimento è passato inosservato e non ha avuto alcun effetto. «Non potevamo tornare a casa, accettare il ritiro dell’aumento del biglietto e contemporaneamente la presenza militare per le strade», spiega un’attivista femminista in un articolo pubblicato dal sito dell’Npa francese. Per il coprifuoco, la gente ha fatto quello che ha fatto per il nuovo anno: un conto alla rovescia prima che iniziasse. C’era il doppio delle persone che c’erano di notte dal venerdì al sabato, con più di mille centri di resistenza, barricate in ogni angolo di strada. Anche nelle piccole città, ci sono state grandi manifestazioni. L’Unità Operativa di Polizia Speciale, una sorta di polizia speciale per i casi ad alto rischio, ha cercato di intervenire ma se ne è dovuta andare.

Per il momento, da questa ribellione non sono ancora emerse richieste specifiche. Tuttavia, ad ogni angolo di strada, la gente ha adottato i segni del movimento No+AFP [un movimento per un sistema pensionistico pubblico, avviato dai sindacati, che ha chiamato una manifestazione di quasi un milione di persone nel 2017, a seguito di casi di corruzione dei gestori di fondi pensione privati]. La consapevolezza è che le frodi e i saccheggi sono commessi dai ricchi. Vi è un’ampia denuncia di casi di corruzione, i cui responsabili non hanno avuto che condanne simboliche, sottrazione di fondi da parte di pezzi grossi dell’esercito, reti pedofile della Chiesa cattolica. Hanno saccheggiato il paese e i salari non sono sufficienti per vivere, questo è ciò che pensano i lavoratori e i giovani che protestano.

Bilancio storico

Per lunedì 21 ottobre, uno sciopero generale è stato inizialmente indetto dall’Unione portuale cilena, l’unione maggioritaria dei lavoratori portuali, contro la precarietà delle condizioni di vita e contro lo stato di emergenza. La CUT e il movimento No+AFP non lo richiedono come invece ha fatto il Coordinamento Femminista 8 marzo (che ha organizzato l’impressionante sciopero dell’8 marzo in Cile): “Noi chiediamo di non andare al lavoro, di rimanere per le strade”. Con decine di sindacati minoritari, organizzazioni sociali, ambientali e per i diritti umani, l’Assemblea Coordinatrice degli studenti secondari cileni (un settore che rappresenta gli studenti delle scuole superiori, più radicale del movimento universitario) e Confech, che riunisce le federazioni studentesche del paese.

“In modo profondo, ciò che è in gioco è il risultato della transizione del Cile verso la democrazia, un patto con il regime dittatoriale di Pinochet”, dice l’attivista all’intervistatore. La fine della dittatura nel 1989 aveva aperto la speranza al popolo cileno che si era mobilitato dagli anni Ottanta. Tuttavia, la democrazia promessa ha conservato e approfondito gran parte dell’agenda liberale di Pinochet e della borghesia cilena. “E’ un’esperienza trentennale, silenziosa, ma amara per la gente. Stiamo vivendo giorni di rivisitazione storica di questo periodo. Insomma, la classe operaia in Cile fa il punto su trent’anni di “democrazia” liberale.

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