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Processo Cucchi: difese ammettono pestaggio ma chiedono assoluzione

Processi Cucchi. I difensori dei cc imputati minimizzano le botte. Al processo sui depistaggi, si astiene il giudice: è un carabiniere in congedo

Comincia con un colpo di scena, e un rinvio al 16 dicembre, il processo sui depistaggi nel caso Cucchi, il giovane detenuto morto nel 2009 all’ospedale Pertini di Roma. In apertura dell’udienza il giudice, Federico Bonagalvagno, si è astenuto dal processo, che vede imputati otto carabinieri. Bonagalvagno ha giustificato la sua astensione spiegando di essere un ex carabiniere attualmente in congedo.

La decisione di Bonagalvagno è legata all’iniziativa dei legali dei familiari di Stefano Cucchi che avevano chiesto al giudice monocratico di astenersi dopo aver appreso da fonti aperte che Bonagalvagno aveva organizzato convegni a cui avevano partecipato alti ufficiali dell’Arma. Ha commentato Ilaria Cucchi: «Sono estremamente soddisfatta del fatto che il Giudice abbia ritenuto di astenersi accogliendo la nostra istanza. Ringrazio il mio e gli altri avvocati che hanno ritenuto opportuno doverla fare. Avevano ragione».

«Siamo soddisfatti e ringraziamo il giudice che si è astenuto. Questo dimostra che la nostra istanza era giusta», dice anche l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia di Stefano Cucchi. Storce il naso, invece, un altro ex carabiniere illustre, Carlo Giovanardi: «Non soltanto il processo ai Carabinieri si svolge in una pressione mediatica che ne dà già per scontato l’esito prima ancora della sentenza di primo grado, ma passa il principio che un magistrato che abbia servito, sia pure di leva, nell’Arma e frequenti i Carabinieri non può esercitare la sua funzione quando sono imputati dei Carabinieri», dice l’ex ministro oggi aderente a Idea Popolo e Libertà, il quale è spesso entrato a gamba tesa nei processi per malapolizia puntando l’indice contro le famiglie, le vittime stesse e perfino contro le fiction troppo realistiche come Schiavone (qui una rassegna di articoli). «Spero che non sfugga – continua Giovanardi – l’enormità di questo pregiudizio, che ha indotto il giudice ad astenersi su richiesta della famiglia Cucchi, che aveva avanzato il sospetto di ombre sull’imparzialità del magistrato. Mi chiedo e lo chiedo alle istituzioni di questo Paese che cosa dovrebbe accadere, in base a questo precedente, tutte le volte che un magistrato viene chiamato a giudicare su di un altro magistrato».

Il nuovo giudice monocratico nominato è Giulia Cavallone. Gli 8 imputati sono tutti carabinieri, tra cui alti ufficiali, accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Si tratta del generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e altre sette carabinieri, tra cui Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma, Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, all’epoca dei fatti maggiore dell’Arma e comandante della compagnia Roma Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio alla stazione di Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei Carabinieri e il carabiniere Luca De Cianni, accusato di falso e di calunnia.

Il ministero della Giustizia, intanto, ha presentato istanza di costituzione di parte civile al processo sui depistaggi. Tra le parti civili già costituite, la presidenza del Consiglio dei ministri e l’Arma.

Parlano i difensori dei carabinieri imputati di omicidio

In aula non erano presenti Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo. In queste ore, infatti, si sta svolgendo l’ultima udienza al processo che riguarda la morte di Stefano Cucchi, uno dei casi di malapolizia più agghiaccianti, che vede imputati cinque carabinieri, tra cui tre per omicidio preterintenzionale, la cui sentenza è prevista giovedì 14 novembre.

La valutazione di attendibilità di Francesco Tedesco, l’imputato-accusatore che con le sue dichiarazioni ha fatto luce sul pestaggio di Stefano Cucchi, è stato uno dei passaggi importanti dell’intervento dell’avvocato Antonella De Benedictis in difesa di uno dei carabinieri imputati nel processo per la morte del geometra romano. «Quello che lui dice non è oggettivo – ha detto l’avvocata – e quello che non è oggettivo non può entrare in un processo. La relazione sparita non c’è. Lui fornisce tre ricostruzioni del pestaggio diverse. Tutta la dichiarazione di Tedesco è semplicemente una personale ricostruzione fatta a posteriori sulla base di riscontri che lui conosceva benissimo perché conosceva le carte processuali». E poi, il tema specifico del pestaggio. «Sono anni che viene detto che questo pestaggio è stato il pestaggio della storia. Ma cos’è oggettivo e provato? Il pestaggio nella migliore delle ipotesi per il mio assistito è consistito in uno schiaffo, nella peggiore delle ipotesi di uno schiaffo e una spinta. Ma non fu un pestaggio violentissimo, gravissimo, abnorme, reiterato; e questo è scritto anche nella perizia, nella quale si parla di schiaffi e una caduta, forse una spinta, forse un calcio. Null’altro dicono i medici; questo è quanto accaduto. Poi c’è il calcio sul volto che non è stato oggetto di autopsia. E’ un argomento scenografico suggestivo che non può essere oggetto di questo processo». Sul tema del nesso di causalità pestaggio-morte, il messaggio è stato chiaro: «C’è un problema a monte relativo alla stessa esistenza del nesso di causalità – ha detto l’avvocato De Benedictis – Stefano Cucchi non è morto per le lesioni, ma perché un paramedico si è dimenticato di controllare il catetere. La lesione iniziale non è di per sé mortale. In questo caso non ci troviamo nel campo medico, ma di fronte a un grossolano errore materiale da parte di un paramedico. Ed è la Cassazione che ci dice che in casi come questi l’errore medico deve essere messo in conto». La richiesta conclusiva: assoluzione di Di Bernardo con formula ampia, o eventuale derubricazione in lesioni personali dell’imputazione di omicidio preterintenzionale.

«Credo sia stata ingiusta la morte di Stefano Cucchi, ma in questo processo si sta facendo una caccia alle streghe perché bisogna necessariamente dare un colpevole», ha insistito De Benedictis in questa penultima udienza, dedicata interamente alle arringhe degli ultimi due difensori. Giovedì prossimo la camera di consiglio che porterà alla sentenza. «Nel nostro ordinamento la responsabilità è personale – ha detto l’avvocato De Benedictis rivolgendosi alla Corte – Vostro compito è di accertare la verità processuale; non contano le parole, ma i fatti acquisiti e provati in sede processuale. Si dovrà porre rimedio alla morte di Stefano Cucchi, non all’omicidio di Stefano Cucchi». L’avvocato ha voluto precisare che oggi il suo assistito non è in aula «nonostante avrebbe voluto metterci la faccia e la parola; ma lui è malato, gravemente malato, e mi ha chiesto espressamente di chiarire la situazione». Poi un cenno alla famiglia Cucchi («hanno subito una perdita sicuramente ingiusta. Il problema però è stato uno Stato, incapace di dare tutela e un ragazzo tra i tanti») prima di affrontare il primo punto dell’intervento difensivo: il pestaggio. «Nessun testimone ha avuto la possibilità di riferire di avere visto l’eventuale pestaggio. Manca la prova rappresentativa, la prova regina di un processo. Da una valutazione oggettiva, non vi è alcuna possibilità di garantire una concordanza tra gli elementi indiziari raccolti». Di tutt’altro avviso era stata la lunga requisitoria del pm Musarò.

«Lunghi anni di un’elefantiasi investigativa spaventosa, in un clima di sospetto spaventoso che ha investito persino gli avvocati», lamenta invece Maria Lampitella, difensore di Raffaele D’Alessandro, accusato anche lui di omicidio preterintenzionale. Con una certezza: «Raffaele D’Alessandro non ha picchiato quel ragazzo. Lui non ha messo un dito addosso a Stefano Cucchi. Il giovane purtroppo già precedentemente non stava bene, aveva avuto momenti difficili e lo dimostra la condizione del suo cuore; Stefano Cucchi non è morto per le lesioni subite, non è quella la causa della morte». In questa vicenda «nessuno ha coperto nessuno, nessuna malefatta è stata coperta, c’è una spiegazione per tutto»; e c’è «un leitmotiv che accomuna tutti i testi d’accusa: la tardività delle loro dichiarazioni testimoniali». Facendo riferimento alla posizione di Francesco Tedesco, per il quale il pm ha chiesto l’assoluzione dal solo reato di omicidio preterintenzionale (per D’Alessandro e Di Bernardo ha chiesto 18 anni), «la richiesta di assoluzione – ha aggiunto la penalista – è un oltraggio, non è una cosa sopportabile. Tedesco recita una parte, è un attore perfetto; ma alcune tessere gli mancano. La sua è una recita; si è guadagnato una richiesta di assoluzione. Se ritenere di condannare gli altri due, l’assoluzione di Tedesco è un oltraggio alla giustizia». A conclusione dell’intervento, l’avvocato Lampitella ha chiesto l’assoluzione di D’Alessandro o quantomeno la derubricazione in lesioni dell’imputazione a suo carico. «Se poi volete vederci ancor più chiaro – ha concluso la penalista rivolgendosi ai giudici – v’invito ad uscire dalla camera di consiglio non con la sentenza ma con un’ordinanza, affidando una nuova e definitiva perizia medico-legale sulle cause della morte».

Ilaria Cucchi: «I difensori hanno ammesso tranquillamente il pestaggio di Stefano»

«Ascoltando i difensori degli imputati che oggi ammettono tranquillamente il pestaggio inflitto a Stefano, non posso non pensare quanto esso sia stato ostinatamente negato dal prof. Paolo Arbarello, consulente della Procura nominato per l’esecuzione dell’autopsia sul suo corpo – dice Ilaria Cucchi – non posso non pensare alla prima perizia Grandi – Cattaneo che ipotizzando anche la caduta ha fatto morire mio fratello di fame e di sete. Non posso non pensare al braccio di ferro tra la Corte d’Assise di Appello e la Suprema corte di Cassazione sulla responsabilità dei medici per la sua morte. La prima assolve e riassolve. La seconda annulla e riannulla quelle assoluzioni. Un rimpallo di 4 sentenze. Si tratta di un processo sbagliato. Drammaticamente sbagliato. Anche questo processo andrà a sentenza il 14 novembre insieme a quello ben più importante in corso contro i veri responsabili della morte di Stefano. I reati contro i medici sono tutti prescritti. Ma si va avanti lo stesso contro di loro. Perché? Perché penso che verranno ancora una volta assolti nonostante le loro evidenti responsabilità. Nonostante la durissima ultima sentenza della Suprema Corte.
È un mio pensiero. È solo un mio pensiero. Non si dichiarerà la prescrizione e questo sperano i difensori di D’Alessandro e Di Bernardo. Attendo il 14 novembre. Io ed i miei genitori siamo allo stremo delle forze.
Mamma e papà sanno già di essere condannati all’ergastolo di processi che si protrarranno fino alla fine della loro vita. Comunque, grazie al lavoro dei PM Pignatone e Musarò, la verità è venuta a galla anche in un aula di giustizia ma c’è sempre qualcuno pronto a metter i bastoni tra le ruote di una Giustizia sempre più difficile da comprendere e spesso troppo lontana dai cittadini comuni in nome dei quali dovrebbe operare».

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