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Uccisione di Soleimani, così Trump gioca sulla pelle degli iracheni

Un Ponte per chiede ai governi e al movimento per la pace di mobilitarsi: «Se l’escalation non si fermerà, l’Iraq precipiterà in un bagno di sangue»

di Alfio Nicotra*

Ciò che si temeva sta forse per succedere. Il conflitto che Stati Uniti e Iran stanno consumando sul corpo martoriato del popolo iracheno si sta trasformando in conflitto militare.

L’azione militare all’aeroporto internazionale di Baghdad – che ha portato all’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani e di altre sette persone – è un atto irresponsabile tanto più grave perché realizzato da un paese che è membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Si tratta di un atto, la rappresaglia e l’omicidio mirato, considerato dal diritto internazionale come un crimine di guerra.

Un crimine che si aggiunge al sostegno dato negli scorsi decenni prima a Saddam nella lunga guerra contro l’Iran, poi alla guerra contro l’Iraq, all’embargo, al caos e alla distruzione determinata nel paese dall’occupazione Usa.

Casus belli è stato il lancio di razzi su una postazione militare statunitense forse da parte di milizie filo iraniane, ma comunque non rivendicato e la cui origine non è stata individuata. Il regime di Teheran sta intervenendo pesantemente nel processo politico iracheno tentando di determinare la nomina del nuovo Primo ministro dopo che la protesta aveva imposto le dimissioni del precedente governo, ma il movimento di massa gli stava tenendo testa.

Se questa escalation non si fermerà l’Iraq precipiterà nuovamente in un bagno di sangue e verrà spazzata via la coraggiosa e generosa rivolta dei/lle giovani iracheni/e che da due mesi occupano le piazze di tutto il paese per chiedere la fine della corruzione, del sistema delle quote settarie introdotto dall’occupazione statunitense e la fine delle interferenze iraniane nella vita politica irachena.

Trump, in difficoltà sul piano interno a causa dell’impeachment, sceglie deliberatamente di buttare benzina sul fuoco convinto che una nuova guerra possa contribuire alla sua rielezione. Certo è che la potente lobby bellico industriale che lo ha sempre appoggiato avrà un motivo in più per allargare il portafoglio e sostenerlo nella corsa per rimanere alla Casa Bianca.

Si tratta di una avventura che, se non fermata subito, rischia d’infiammare l’intera regione del Medio Oriente, allargandosi a macchia d’olio anche nel Mediterraneo.

Chiediamo al governo italiano e a quelli dell’Unione Europea di condannare quanto accaduto e di dissociarsi apertamente da questa scelta di guerra. L’intera comunità internazionale deve operare per fermare l’escalation e chiedere alle forze armate straniere di lasciare l’Iraq.

Invitiamo il movimento per la pace a mobilitarsi contro il pericolo della guerra e a manifestare la propria solidarietà al popolo iracheno, sulla cui pelle si sta giocando questa sporca partita.

Noi siamo a fianco del popolo iracheno, vera vittima di questa dinamica perversa, ed in particolare di quei/lle giovani che si battono per un futuro libero e indipendente del proprio paese e diciamo a tutti: fermatevi, ritirate le vostre truppe e i vostri consiglieri militari, lasciate che gli iracheni e le irachene possano determinare liberamente il proprio futuro.

*presidente di Unponteper

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