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Francia, il coronavirus svuota le urne e ruba la scena a Macron

Francia, astensione record al primo turno delle amministrative. Macron ora finge di sostenere la sanità pubblica e stasera annuncerà nuove misure

«E’ dunque sicuro ma ancora segreto: da mercoledì: copri fuoco alle 18. Un bacio». L’ultima mail di Laure arriva con un trillo alle 9.17. Arriva da Rennes, Bretagna. Poi anche l’Ansa batte: Macron parlerà stasera alla nazione. Lo si è appreso dall’Eliseo. Dal presidente si attendono nuovi annunci di drastiche restrizioni dopo il quadro allarmante sulla situazione dell’epidemia di Coronavirus e l’affollamento negli ospedali.

Laure e Susanna.

Fino a poche ore prima, su Skype, Laure, 46enne, mi aveva parlato, in una conversazione piuttosto rilassata, di misure abbastanza leggere: «Sappiamo che le scuole saranno chiuse da lunedì, così come le biblioteche. E i cinema accetteranno solo 100 persone, i teatri chiusi e ogni altro spettacolo dal vivo». Laure era rammaricata soprattutto dalla cancellazione di alcuni concerti jazz. Lei stessa pensava che avrebbe potuto continuare a insegnare l’italiano in classi di non più di dieci allievi, ben distanziati e coscienziosamente sanificate, banchi e maniglie. «Il presidente ha detto che ci saranno i soldi necessari per far stare la gente a casa, ma varrà solo per i dipendenti».

Marius, suo figlio di otto anni, alla notizia della vacanza inaspettata ha dichiarato «E’ il giorno più bello della mia vita» prima di uscire con sua madre per andare a fare scorta di libri, puzzle e scatole di montaggio di robot. Anche a Parigi, Bois de Vincennes e il Bois de Boulogne, «sembravano Via del Corso in un sabato pomeriggio», racconta Susanna, docente all’Università di Lione ma residente nella capitale francese. Davvero difficile associare a una domenica di sole primaverile la scoperta della fragilità, l’incalzare dell’allarme per coronavirus. Per tutta la giornata di domenica, le foto degli affollati mercati e parchi parigini sono circolate sui social network, insieme all’hashtag #Irresponsible. «Siamo fragili, dobbiamo essere attenti gli uni agli altri – dice ancora Laure – ma sembra surreale: duemila malati e il paese in ginocchio. Siamo la generazione che non ha conosciuto epidemie, l’Aids era un’altra cosa come modalità di trasmissione». Susanna consulta le mail del suo Rettore da cui si evince che da venerdì «stanno in modo affannoso cercando di assicurare la continuità, con la didattica a distanza ma nulla è definito». Durante le conversazioni la situazione è in evidente mutamento. Mentre sento Susanna, che racconta di un paio di licei parigini rimasti aperti anche dopo l’insorgere di contagi, Laure mi avverte con un sms che è arrivato l’ordine di chiudere i negozi e che i suoi corsi sono sospesi. «Le indicazioni per un confinamento sono solo questione di ore», spiega anche Susanna osservando i suoi vicini che fanno i bagagli per fuggire in campagna. Sembra di capire che lo schema sia il medesimo che ha accompagnato l’escalation dei decreti di Conte: per step ma piuttosto ravvicinati. E’ l’ora del Tg che Susanna commenta in diretta con Popoff: «C’è stata una fortissima astensione». Ieri, infatti è stato il primo turno delle elezioni municipali e la fase 3 dell’allarme Civid19 scatta a ridosso dell’apertura dei seggi. La Francia deve eleggere 35mila sindaci. In due turni: 15 e 22 marzo.

#jeniraipasvoter

Uscire a votare o rimanere confinati? Il dilemma ha attanagliato 47,7 milioni di elettori divisi tra due doveri civici. Non sorprende che l’esito sia stato una defezione senza precedenti nelle elezioni dei consigli comunali. Meno della metà degli elettori si è presentata alle urne quando nonostante le assicurazioni di seggi elettorali puliti più volte al giorno, possibilità di portare la propria penna per firmare, fornitura di gel idroalcolico. In tempi “normali”, più del 60% degli elettori iscritti avrebbe votato per il proprio sindaco. Secondo le stime, l’affluenza alle urne è scesa tra il 44% e il 46,5%, da 18 a 19 punti in meno rispetto al 2014.

Nel bel mezzo dell’epidemia e mentre nuove misure di contenimento sono state annunciate dal Primo Ministro sabato sera, l’astensione ha toccato il 56%. Il voto di sanzione contro LREM, il partito di Macron è confermato. PS, socialisti, LR (la destra di Sarkozy) e il PCF stanno reggendo bene e l’EELV, i verdi, stanno facendo un passo avanti mentre il bilancio sanitario di domenica sera conta 5.400 casi registrati di influenza e 120 morti. L’Humanitè, organo del Pcf, scrive che «Mai prima d’ora si è tenuta un’elezione con una tale incertezza. Dal discorso presidenziale di giovedì, gli eventi si sono intensificati nella folle corsa contro l’epidemia, al punto che i seggi elettorali sono diventati più fragili». Senz’altro discutibile l’ostinazione dell’Eliseo di mantenere l’appuntamento elettorale. La parola d’ordine #JeNIraiPasVoter è virale da giorni sui social network.

Crisi sanitaria, dilettantismo politico

Non appena sono stati annunciati i risultati del primo turno delle elezioni comunali, l’esecutivo ha annunciato di voler rinviare il secondo turno mentre da tre giorni il governo continua a rafforzare le misure di contenimento, sulla base delle raccomandazioni di un consiglio scientifico istituito in ritardo. Senza aver intuito una crisi politica che ora accompagna la crisi sanitaria.

Perché il governo ha deciso di mantenere le elezioni quando la Francia ha ormai raggiunto la terza fase della gestione della crisi sanitaria? Come spiegare a chi ha più di 70 anni, a cui Emmanuel Macron ha chiesto di “stare a casa il più possibile”, di poter andare alle urne senza paura?

Queste questioni sono state sollevate da gran parte degli osservatori e dei protagonisti della politica. “Da giovedì, non siamo stati né informati né consultati sulle scelte strategiche del governo o sul rinvio delle elezioni”, ha denunciato anche il segretario socialista Olivier Faure. Dalle colonne dei giornali e dal web si sono inseguiti gli appelli di medici e cittadini per rinviare il voto o, comunque, per rimanere a casa.

Ma il rafforzamento delle misure di contenimento, deciso nell’arco di 48 ore, e il cambio di tono al più alto livello dello Stato rimangono del tutto incomprensibili. E tanto più che alti funzionari della maggioranza, come il presidente del MoDem François Bayrou, hanno fatto sapere di essere contrari a mantenere il voto a partire da giovedì. Così facendo, il governo si è messo in una situazione pericolosa, poiché non è più sicuro che il secondo turno possa essere organizzato domenica prossima. A metà giornata, con le urne aperte, un ministro ha confermato a Mediapart che “tutte le opzioni sono aperte”. Emmanuel Macron non esclude di parlare di nuovo nei prossimi giorni. Molti scommettono sull’annuncio di misure ancora più drastiche, il “coprifuoco” di cui parliamo nel leed di questo articolo, ma all’interno dell’esecutivo è certo che in questo momento non si decide nulla. «Se c’è un deterioramento della situazione sanitaria, deve avere la precedenza su tutte le altre considerazioni”, ha detto il ministro dell’Economia Bruno Le Maire su France 2. Prima di aggiungere: «La situazione sta peggiorando per i nostri connazionali».

“Il virus è invisibile, circola velocemente”

«Oggi ho visto nonni felici con i loro nipoti, immagini bellissime, il tempo è bello, ma posso dirvi che il virus è invisibile, circola velocemente, minaccia la vita delle persone, vi imploro…», si sente dire domenica sera su France 2, dal ministro della Solidarietà e della Salute Olivier Véran.

In tale contesto, nessuno scommette sullo svolgimento del secondo turno.  La procedura per il rinvio – e quindi per il prolungamento del mandato degli attuali consiglieri comunali – richiede l’adozione di un disegno di legge, e quindi un passaggio davanti al Consiglio di Stato, al Consiglio dei Ministri, seguito da una presentazione sui banchi delle due camere parlamentari, etc. Nel frattempo, il Presidente della Repubblica può scegliere di prorogare il termine con decreto.

Per il costituzionalista Didier Maus, il rinvio del secondo turno renderebbe nullo il primo turno e costringerebbe gli elettori a votare di nuovo per entrambi. “Un’elezione con due turni è un tutt’uno”, ha detto, sottolineando però che gli eletti di domenica possono rimanere eletti. “C’è certamente un principio di uguaglianza, ma si può anche tener conto di circostanze eccezionali…” “Gli eletti stasera dovrebbero conservare il beneficio della loro elezione”, ha commentato anche il suo collega Jean-Philippe Derosier, professore di diritto pubblico all’Università di Lille-II.

In ogni caso, la situazione sembra molto incerta. Tanto più che se la decisione fosse stata presa dieci giorni fa, «non ci sarebbe stato nessun problema», si fa scappare Didier Maus.

Già alla fine di gennaio, l’ex ministro della Solidarietà e della Salute, Agnès Buzyn, ora candidata al LREM a Parigi, dove ha sostituito Benjamin Griveaux, ha accennato ad alcuni suoi colleghi che probabilmente sarebbe stato difficile mantenere le elezioni. Da giorni circolavano previsioni su uno scenario “all’italiana” con un rapido diffondersi, oltre tre settimane fa, del virus dai primi focolai già noti nell’Oise, a nord di Parigi, e nell’ Haut-Rhin, a est, dove il sistema sanitario ha rivelato tutta la sua fragilità, i treni hanno continuato a viaggiare pieni, gli infermieri a lavorare senza protezione, le persone a baciarsi e le notizie a rincorrersi in modo contraddittorio. Così solo una minoranza di persone ha iniziato a praticare delle misure di distanziamento. «In Francia, si diceva che il corona virus è come la pasta: nato in Cina, importato dagli italiani! – riprende Laure – devo dire che siamo stupiti di vedere quello che è successo in Italia, la velocità alla quale si è esteso il virus… adesso tocca noi!».

Un potere irresponsabile che naviga a vista

Ma l’esecutivo ha continuato a fare scelte politiche sconcertanti ben oltre il settore ospedaliero: cambiare ministro nel bel mezzo di una crisi per motivi puramente politici; approfittare di un consiglio dei ministri d’eccezione, inizialmente dedicato esclusivamente alla gestione del coronavirus, per utilizzate l’articolo 49-3 della Costituzione che permette al governo di approvare la riforma delle pensioni senza voto parlamentare. E’ il presidenzialismo.

Secondo Mediapart, uno dei migliori siti di informazione di oltralpe, «Ancora una volta, il potere naviga a vista». Dopo il discorso di Emmanuel Macron, le decisioni sono state prese in maniera approssimativa, sulla base delle raccomandazioni di un consiglio scientifico formatosi in ritardo – ha tenuto la sua prima riunione alla vigilia delle elezioni presidenziali. La stessa comunità scientifica sta scoprendo ora il virus e non è omogenea sul tema. Secondo il quotidiano L’Opinion, il governo dovrebbe presentare lunedì una prima sintesi del lavoro del consiglio scientifico.

L’Npa, il Noveau parti anticapitaliste, denuncia un potere irresponsabile. «Pur chiudendo giustamente le scuole e molti luoghi pubblici nel tentativo di rispondere alla grave crisi sanitaria del coronavirus, ha voluto mantenere a tutti i costi queste elezioni comunali. Non sorprende che l’astensione abbia avuto un profondo effetto su queste elezioni, con quasi un elettore su due che non si è presentato. Questa è l’espressione più chiara del diffuso disinteresse popolare per queste elezioni, che è stato percepito come totalmente fuori luogo in una situazione in cui l’intero paese è in procinto di andare in isolamento. E’ anche, naturalmente, la continuazione di una crisi democratica che ha segnato tutte le elezioni per diversi anni, e che si esprime in gran parte al di fuori delle urne». La Francia è stata segnata dall’opposizione di massa e di lunga durata alle operazioni neoliberali di Macron, dalla fase 2 della Loi Travail alla controriforma delle pensioni, passando per le misure contro i pendolari, gli insegnanti, le privatizzazioni della Sncf e dell’Aeroporto di Parigi (ora sospesa), il personale della sanità pubblica con dosi massicce di violenza omicida da parte della polizia. «Questa crisi politica – si legge sul sito Npa – è solo il riflesso di una crisi più profonda di un sistema capitalista che è senza fiato, incapace oggi di rispondere al rischio di un crollo del mercato azionario così come alla minaccia di un pericoloso virus… Le risposte alle crisi non si trovano nelle urne, ma nella mobilitazione di tutti per imporre misure di emergenza che antepongono la nostra vita ai loro profitti».

Crisi democratica e crisi sanitaria

Il coronavirus sembra solo il colpo di grazia a un trend elettorale in costante decrescita da anni. La crisi sanitaria non deve nascondere la crisi democratica. Il fulmineo logoramento dell’immagine di Macron, la mobilitazione senza precedenti contro la riforma delle pensioni, l’uso contestato del 49-3 e persino il ritiro del governo sulla privatizzazione di Aéroports de Paris facevano pensare, in teoria, allo sfondamento di un’opposizione “progressista” dopo la Berezina del 2014, un’inversione di tendenza come rampa di lancio per le elezioni presidenziali del 2022. Come dire: se il coronavirus ha invaso le menti, potrebbe non essere in grado di battere il vento del cambiamento che soffia su questo paese a un punto morto.

La sera di giovedì 12 marzo, in un discorso televisivo sull’epidemia di coronavirus, durante il quale ha annunciato la chiusura di tutte le scuole “fino a nuovo ordine”, il Presidente della Repubblica ha parlato come se fosse appena stato eletto e stesse scoprendo quanto sia prezioso il sistema sanitario. «Il Presidente non ha lesinato su nessun argomento per incarnare l’unità nazionale che ha tanto danneggiato durante i tre anni del suo mandato», ha commentato a caldo l’Humanité.

«La salute non ha prezzo. Il governo mobiliterà tutti i mezzi finanziari necessari per fornire assistenza, per prendersi cura dei malati, per salvare vite umane a qualsiasi costo», ha detto lo stesso politicante che nell’aprile 2018 aveva detto a un assistente infermiere che non poteva fare di più per l’ospedale a causa del debito pubblico. «Non ho soldi magici», disse allora.

Due anni dopo, in quella che ha definito “la peggiore crisi sanitaria che la Francia abbia mai vissuto in un secolo”, il capo dello Stato ha ringraziato a lungo “quegli eroi in camice bianco, quelle migliaia di uomini e donne ammirevoli che non hanno altra bussola che la cura. Le stesse persone che si mobilitano da mesi nella speranza di ottenere qualcosa di più della carità di un piano di emergenza minimo. Le stesse persone alle quali l’esecutivo ha somministrato, per tre anni, solo piccole concessioni, per imporre meglio la sua “trasformazione” neoliberale.

I fasulli ripensamenti di Macron

Per molti versi, il discorso di Macron di giovedì sera è stato sorprendente. Non è frequente sentire il campione del sistema neoliberale lodare lo “stato sociale” e spiegare davanti alla telecamera che «domani dovremo imparare la lezione del momento che stiamo attraversando, mettere in discussione il modello di sviluppo in cui il nostro mondo è impegnato da decenni e che rivela i suoi difetti in pieno giorno, mettere in discussione le debolezze delle nostre democrazie».

Dall’inizio del suo mandato, l’Eliseo ha perseguito anche con la violenza della polizia e del ricorso alla decretazione, tutte le politiche possibili e immaginabili per portare il deficit al di sotto del 3%, assumendo pienamente la propria austerità di bilancio. Il suo primo ministro, Édouard Philippe, l’ha sempre accolto con favore e non ha mai nascosto un certo gusto per il rigore.

Qualche mese fa il presidente francese ha iniziato a criticare apertamente le regole europee. «Abbiamo bisogno di più espansionismo, abbiamo bisogno di più investimenti. L’Europa non può essere l’unica area che non lo fa», ha detto al settimanale britannico The Economist nel novembre 2019. Penso che sia per questo che il dibattito sul 3% circa dei bilanci nazionali, e l’1% del bilancio europeo, è un dibattito di un altro secolo».

Giovedì sera, ha fatto un ulteriore passo avanti spiegando che «delegare la nostra alimentazione, la nostra protezione, la nostra capacità di prenderci cura, il nostro ambiente di vita agli altri [è] una follia” e che è necessario “riprendere il controllo”». Prima di concludere: «Le prossime settimane e i prossimi mesi richiederanno decisioni di rottura in questa direzione. Le produrrò io». Un’affermazione che è stata immediatamente interpretata da alcuni come un punto di svolta nel quinquennio ma probabilmente non è così.

«Tutte le aziende che lo desiderano potranno rinviare senza giustificazione, senza formalità, senza penali, il pagamento dei contributi e delle imposte dovute a marzo», ha detto anche. Come il Ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, aveva già indicato in precedenza, verrà creato un fondo di solidarietà per le aziende più colpite dall’epidemia. Per “proteggere i dipendenti e le aziende”, Macron ha anche confermato l’introduzione di un meccanismo di lavoro a orario ridotto, basato sul modello scelto dalla Germania al momento della crisi del 2009. «Lo Stato pagherà un indennizzo per i dipendenti costretti a rimanere a casa», ha aggiunto. Secondo il ministro del Lavoro Muriel Pénicaud, circa 3600 imprese hanno già chiesto di beneficiare di questo regime di attività parziale per circa 60 milioni di dipendenti, che in questa fase rappresenta un costo di 180 milioni di euro per lo Stato. «Non ho un limite di budget, faremo quello che dobbiamo fare», ha assicurato Macron.

Il paese di Pasteur ha tagliato la ricerca

Ma non ha annunciato la creazione di letti aggiuntivi come il personale ospedaliero chiede continuamente, e la Francia è messa perfino peggio dell’Italia per quello che riguarda i letti di terapia intensiva. Fa irruzione la miopia dei tagli ai finanziamenti nel “paese di Pasteur” alla ricerca di base degli ultimi decenni. Il CNRS aveva lanciato un programma di ricerca sui coronavirus nei primi anni 2000, dopo l’epidemia di SARS. Una volta passata l’epidemia, il programma è stato fermato e le équipe sono state indirizzate in modo autoritario verso altri soggetti di ricerca, “per mancanza di risorse”, è stato detto loro.

Macron, invece, ha annunciato che le cure non essenziali sarebbero state rinviate e che sarebbe stato mobilitato il maggior numero possibile di medici e infermieri, compresi gli studenti e i “giovani” pensionati. Il governo ha chiesto la “deprogrammazione immediata della chirurgia non urgente” per liberare letti di rianimazione. La sua ministra della Sanità, Mme Buzin ha usato come linea guida per l’ospedale, l’orribile anglicismo degno della “Start-up Nation” per riferirsi a un razionamento dei letti ospedalieri basato sull’assurdo principio dei “letti liberi zero”, che consiste nell’applicare al settore della sanità pubblica i flussi estremamente tesi di capitali, materie prime e mercati delle merci – il famoso stock zero, anch’esso socialmente criminale. Tutto questo con l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica come richiesto dalle istituzioni del capitale e dalle loro staffette politiche.

«Il signor Macron ha scoperto improvvisamente la virtù del servizio pubblico? – si chiedono al Pcf – quelli che il signor Sarkozy ha salutato con lo stesso vigore nel 2009, nel bel mezzo di una tempesta finanziaria, per meglio dissanguarli una volta passato il fulmine?». I commenti del Capo dello Stato ricordano, infatti, quelli di Nicolas Sarkozy nel settembre 2008, nel pieno della crisi finanziaria. «Questa crisi, che non si vedeva dagli anni ’30, segna la fine di un mondo», disse allora, denunciando dumping, delocalizzazioni, eccessi della finanza globale e rischi ecologici.

Come ha fatto in numerose occasioni dall’inizio del suo mandato quinquennale, in particolare all’epoca dell’incendio di Notre-Dame de Paris, Emmanuel Macron ha quindi chiesto ancora una volta l’unità nazionale per mettere a tacere ogni critica.

“1492: Cristoforo Colombo scopre l’America; 2020: Macron scopre il servizio pubblico”, ha commentato il segretario del Partito Comunista Francese (PCF) Fabien Roussel.

Il governo è riuscito a rinviare la privatizzazione di Aéroports de Paris di fronte alla debacle borsistica, dimostrando la solidità della proprietà pubblica ma rinvierà la riduzione dei diritti dei disoccupati di fronte alla valanga economica?  Questo è un esempio che permetterà di giudicare l’autenticità delle parole di Macron. Queste misure di emergenza, si sostiene a sinistra, devono essere accompagnate da una radicale “rottura” dell’organizzazione del credito. Occorre assolutamente creare un settore bancario pubblico per porre fine a queste corse ai rendimenti finanziari che oggi motivano l’azione delle maggiori banche per controbilanciare gli effetti dei bassi e negativi tassi di interesse. Dalla crisi del 2008, l’economia mondiale cammina su una corda tesa come un funambolo e minaccia di cadere all’indietro a intervalli regolari e ravvicinati. Tutte le cosiddette misure proattive non sono state altro che “vetrinismo”. Hanno avuto l’unico effetto di aumentare la dipendenza dell’economia reale dalla finanza. Tutto questo deve finire. E queste non sono piccole misure che permetteranno che ciò avvenga. Questo deve essere il preludio di un’organizzazione completamente diversa della globalizzazione che non si basa più su catene di valore istituite da una divisione globale del lavoro esacerbata e neocoloniale: armi lì, cervelli qui…

Infine, l’Europa – il suo epicentro, almeno la zona euro – potrebbe esplodere sotto i colpi di un rallentamento incontrollato dell’attività in Paesi come l’Italia oggi e gli altri domani. Il progetto definito dai trattati di Maastricht e di Lisbona si sgretola ogni giorno di fronte all’egoismo delle nazioni istituito dalla concorrenza che è diventato un dogma. La Banca centrale europea svolge ora solo il ruolo di assicuratore di ultima istanza per un sistema bancario impazzito. Un progetto completamente diverso, basato sulla sovranità popolare e sulla cooperazione, bussa alla porta. È tempo che la gente se ne impadronisca prima che crolli e con essa l’intero sistema economico interdipendente.

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