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E se la Bce annullasse il debito sovrano?

Due economisti francesi: annullare i debiti in pancia alla Bce per finanziare la transizione ecologica (Martin Orange)

Traduzione di Giulia Heredia

L’economista Laurence Scialom, professore all’Università di Parigi-Nanterre, e il dottorando Baptiste Bridonneau difendono la proposta di annullamento dei debiti sovrani detenuti dalla Banca Centrale Europea. Obiettivo: superare la crisi dovuta al Covid-19 e finanziare la transizione ecologica.

Le prime previsioni non lasciano illusioni: la pandemia di Covid-19 sta provocando una crisi sanitaria, sociale ed economica di proporzioni senza precedenti. Secondo il FMI “L’economia globale rischia di conoscere, quest’anno, la peggiore recessione dai tempi della Grande Depressione”. Dopo che è stato chiesto loro di stare fuori dai piedi, gli Stati sono ora visti come una risorsa per cercare di contenere gli effetti di questa crisi.

Di fronte all’arresto delle loro economie, al duplice shock dell’offerta e della domanda, questi ultimi stanno spendendo come matti. Tutte le norme, le regole sono saltate. I miliardi volano. Ma montagne di debito pubblico si stanno accumulando.

Come affrontare di conseguenza questo indebitamento, che rischia di provocare nuove crisi del debito sovrano? Sempre più economisti e leader politici sostengono che è fuori questione tornare alle politiche di austerity che si sono rivelate mortifere per la zona euro, come dimostrano il crollo dei sistemi ospedalieri e sanitari pubblici dell’Europa meridionale.

Cosa succederebbe se la soluzione venisse dalla Banca Centrale Europea (BCE)? Se questa accettasse di annullare il debito degli Stati che ha acquistato nell’ambito della sua politica di sostegno all’area dell’euro dal 2015, al fine di  ridare flessibilità agli Stati e aiutarli a finanziare la transizione ecologica, indispensabile per il futuro del mondo? È questa la proposta di “rottura” che Laurence Scialom e Baptiste Bridonneau, hanno avanzato in una nota pubblicata da Terra Nova.

L’intervista

Questa crisi sanitaria ed economica sta scuotendo tutti i parametri di riferimento, tutte le regole finora accettate. Cosa ne pensate di questi cambiamenti?

Laurence Scialom: Prima della crisi di Covid, c’era la sensazione che un certo numero di cose si muovessero e che molte convinzioni sul nostro modello di sviluppo si fossero inbedolite. Tuttavia, è necessario essere prudenti. Durante la crisi del 2007-2008, il discorso fu: niente sarebbe più stato lo stesso. Oggi, la consapevolezza delle vulnerabilità delle nostre economie sembra essere più forte, in quanto la crisi non è puramente finanziaria, ma è parte dell’economia reale. La crisi rafforza le questioni che già animavano la società come la necessità di trasformare profondamente i nostri modelli di produzione e di consumo di fronte a situazioni di emergenza climatica o all’esigenza di combattere le disuguaglianze. Questa crisi sta anche risvegliando le forze centrifughe in Europa, in quanto i paesi più colpiti dalla crisi sanitaria sono anche i più fragili economicamente e in termini di indebitamento pubblico.

Questo accumulo di eventi genera un sistema. Il neoliberismo ha portato ad una globalizzazione eccessiva che non solo ha provocato interruzioni nella fornitura di prodotti strategici (maschere o medicinali), penalizzandoci nella lotta sanitaria, ma ha anche contribuito ad accelerare la crisi ecologica, i cui effetti sono enormi e percepibili da tutti: continue siccità, incendi giganteschi in Australia o in Amazzonia, scioglimento dei ghiacciai, riscaldamento degli oceani, perdita di biodiversità, ecc.

Questo insieme di fatti, che possono sembrare non collegati, sono tutti segnali che alimentano la sensazione diffusa che siamo giunti all’apice delle contraddizioni di un’organizzazione economica distruttiva per le condizioni della vita umana e del pianeta. Questa crisi del Covid potrebbe essere il punto di svolta. In ogni caso, spero che questa volta non ci si fermi alle parole, perché c’è la consapevolezza dell’urgenza. Sia che si tratti della tassazione delle multinazionali, dell’evasione fiscale, della tassazione del patrimonio… non possiamo più fare lo stesso discorso. Questo non è più riproducibile.

Oggi, quelli che sono “in prima linea”, per riprendere le parole usate dal presidente (infermieri, personale dell’Ehpad, cassieri, fattorini, ecc.), coloro che garantiscono la nostra vita nei suoi aspetti più importanti, sono coloro che il sistema neoliberale ha “invisibilizzato”. Questi lavoratori, che sono stati i più penalizzati dal neoliberalismo e dalla nuova gestione pubblica, sono quelli che si stanno dimostrando indispensabili per l’economia.Dunque è il momento di proporre una nuova visione. Le società possono essere mature per capirla, e lo sono anche i politici, se capiscono che è nel loro interesse ascoltarlo.

Avete appena pubblicato su Terra Nova una nota che riassume il vostro lavoro, proponendo la cancellazione dei debiti degli Stati della zona euro da parte della Banca Centrale Europea (BCE), per restituire loro un po’ di margine di manovra. Come siete arrivati a questa riflessione? Quale potrebbe essere il processo?

Baptiste Bridonneau: L’idea è nata dalla constatazione che i livelli di debito pubblico sono talmente alti che stanno diventando più che problematici e stanno limitando gli investimenti per il futuro. Da qui l’idea di lavorare per le ristrutturazioni del debito pubblico. La storia ci offre molti esempi, in America Latina negli anni 1980-1990, o nel 2001 in Argentina. Infine è arrivata la Grecia. Assistere alla ristrutturazione del debito di un paese europeo sarebbe stato inimmaginabile anni fa. Purtroppo le ristrutturazioni, con il loro impatto disordinato sul sistema bancario, possono creare più problemi di quanti ne risolvano. Si dà il caso che la BCE conceda prestiti anche agli Stati riacquistando il loro debito. Ciò contribuisce ad abbassare i tassi d’interesse sui prestiti sovrani. La BCE ora restituisce gli interessi agli Stati, ma questi dovranno sempre rimborsare alla BCE la maggior parte del loro debito! Cosa accadrebbe se la BCE rinunciasse al denaro che gli Stati gli dovevano e dicesse loro di usarlo per investire? Questo risolverebbe un duplice problema. Allo stesso tempo, si finanzierebbero i servizi pubblici e la transizione ecologica. Inoltre, risponderebbe alla recessione economica: l’unico modo per far ripartire l’economia è quello di giocare sulla domanda pubblica, dal momento che la domanda privata è indebolita. La politica monetaria sta avendo difficoltà a far ripartire la domanda, quando il limite del tasso di interesse zero è stato superato ed è difficile far scendere i tassi reali. Abbiamo recessioni di bilancio perché le aziende vogliono uscire dal debito in molti paesi europei. Quindi, se anche lo Stato fa così… Di fronte alla trappola in cui si trova la politica monetaria, la spesa pubblica è necessaria, e questo è un bene, perché dobbiamo investire in certi settori. In questo modo si affronterebbe sia un problema economico che un problema ecologico e sociale.

In che modo questa cancellazione del debito da parte della BCE sarebbe più efficace rispetto alla monetizzazione o del riacquisto dei titoli nell’ambito della sua politica di Quantitative Easing?

B.: Sarebbe possibile per la BCE rinnovare costantemente la quantità di crediti che detiene nei confronti degli Stati. Per capirci: Concedere nuovi prestiti quando quelli vecchi maturano. In questo modo si posticipa il rimborso nel tempo e non si addebitano interessi. Bene. Ma condizionare le cancellazioni del debito sugli investimenti pubblici è meglio. È un modo inarrestabile per far rivivere la domanda pubblica. Quale governo non vorrebbe investire e ottenere la cancellazione del debito per un importo pari agli investimenti? Naturalmente, questo può assumere altre forme: si può immaginare che la BCE non cancelli i debiti sovrani ma emetta buoni del Tesoro. Sarebbe un po’ come acquistare il debito sul mercato primario e cancellarlo immediatamente.

Ma il rovescio della medaglia di questa soluzione, oltre al fatto che gli acquisti sui mercati primari sono vietati, è che richiede una nuova creazione monetaria da parte della BCE. Ciò significherebbe iniettare ancora più liquidità nell’economia. Piuttosto che creare nuova moneta della banca centrale, è meglio che quella già iniettata dalla banca centrale sia resa perpetua, cioè non rimborsata dagli Stati alla BCE. L’idea alla base è che la cancellazione del debito sia legata a nuovi investimenti; altrimenti, per reinvestire, gli Stati dovranno reindebitarsi  con i creditori privati. Ciò consentirebbe di deviare gradualmente la liquidità dalle bolle finanziarie alla spesa pubblica.

Dovrebbe valere la regola dell’uguaglianza tra i paesi membri?

B.: Non necessariamente. Poiché l’annullamento potrebbe essere utilizzato per risolvere un secondo problema dell’eurozona: shock asimmetrici. Ci troviamo ora in una situazione in cui, di fronte a un’area dell’euro eterogenea, esiste una politica monetaria unica. Il meccanismo di cancellazione consentirebbe di avere una politica monetaria differenziata da paese a paese. Non tutti ne trarrebbero beneficio nella stessa proporzione. Ci potrebbero essere più investimenti condizionati alla cancellazione del debito in alcuni paesi, quelli più bisognosi, a seconda dei rispettivi livelli di inflazione, in modo da far convergere l’area dell’euro. La BCE ha già accettato di trattare i paesi in modo diverso nell’ambito dell’SMP e dell’MTO “Outright Monetary Transactions”, per l’acquisto diretto di denaro. Questo programma permette alla BCE di acquistare titoli direttamente dai paesi dell’area dell’euro che ricevono sostegno finanziario, quindi non sarebbe una novità. Possiamo immaginare quanto tutti siano riluttanti. Se prendiamo l’esempio della Germania, quale potrebbe essere il suo vantaggio se il suo debito non venisse cancellato, ma quello dell’Italia si?

Se gli Stati membri possono investire grazie a un “dono” di una banca centrale comune a tutti, va da sé che al Parlamento europeo potrebbe essere affidato il compito di pianificare i settori in cui varrebbe la pena di investire, a beneficio di tutti. Si potrebbe immaginare che questa pianificazione sia rivolta ai beni pubblici globali, che, anche se prodotti solo in paesi che beneficiano della cancellazione del debito, hanno effetti positivi che si estendono oltre i loro confini. Generalmente: investimenti in energie rinnovabili per combattere il riscaldamento globale, ricerca pubblica su un vaccino per combattere la diffusione di un virus, ecc.

Politicamente restituirebbe una visione, senza passare attraverso il federalismo fiscale. Questo consentirebbe di superare la mancanza di un vero e proprio bilancio comune, che ha completamente minato l’unione monetaria fin dall’inizio. Sarebbe un mezzo per ripristinare una visione europea, con settori prioritari e politiche concrete.

Tuttavia, c’è il rischio che alcuni paesi della zona euro si oppongano a questo principio di cancellazione, che è contrario ai trattati europei, poiché la cancellazione equivale a un finanziamento diretto degli Stati membri….

B.B: Si tratta certamente di una questione politica. Da un punto di vista teleologico, lo scopo di vietare alla Banca Centrale di finanziare gli Stati è quello di evitare una deriva inflazionistica. Nelle attuali circostanze, quando l’economia europea è minacciata dalla deflazione, queste regole non sono più appropriate. Al contrario, la cancellazione del debito pubblico in cambio di investimenti sarebbe un modo per andare nella direzione di ciò che vuole la BCE, cioè l’inflazione. Dobbiamo essere in grado di fare una discussione seria su questi temi, anche a costo di tornare ai trattati. Forse non è nemmeno necessario modificare i trattati, perché vietano gli scoperti e i crediti, ma non le donazioni. Inoltre, è una questione di rapporti di potere. A livello di Consiglio europeo prevale l’unanimità. Tutti i paesi europei devono concordare in merito ai cambiamenti. Le discussioni sulla creazione di Eurobond, di “coronabond”, dimostrano che questa unanimità è impossibile da raggiungere. Ci sarà sempre un paese europeo che porrà il veto.

Ma le decisioni della BCE sono prese a maggioranza qualificata dei due terzi. Inoltre, abbiamo un sistema di rotazione dei voti che significa che ogni mese, quattro paesi non hanno il diritto di voto. Almeno due mesi all’anno, il governatore tedesco non ha la possibilità di votare. Questo può rendere possibile il passaggio di una misura delicata non convenzionale. Mario Draghi è già stato in grado di utilizzare questo sistema decisionale senza consenso. Nel 2012 la BCE si è assunta le sue responsabilità quando è stata istituita l’OMT. Il Presidente della Bundesbank era contrario a questa misura, ma il meccanismo è stato comunque adottato, anche se non è mai stato effettivamente utilizzato. Fu allora che la BCE diede davvero il segnale che era disposta a fare qualsiasi cosa per salvare la zona euro. Non varrebbe la pena riutilizzare questo rapporto di forza, per perseguire una politica senza consenso, ma che potrebbe salvare di nuovo l’eurozona?

Fino a che punto sarebbe possibile per la BCE, un’istituzione non democratica, assumere una politica europea che gli Stati non vogliono guidare? 

S. È vero che si tratta di un paradosso incredibile. La BCE è un’istituzione non democratica. Se accettasse di cancellare i debiti, sarebbe la seconda volta che, in un lasso di tempo relativamente breve, questa istituzione compenserebbe l’inadeguatezza dei governi e la loro mancanza di visione politica per un futuro comune, salvando l’area dell’euro. La contropartita della cancellazione è il finanziamento della conversione ecologica delle economie. E’ qui che il tempismo è importante. Ci porremo la questione del riavvio delle economie e del loro riorientamento.

La nostra idea è che, se la BCE annulla una parte del debito pubblico, le decisioni sui progetti da sostenere, i settori ritenuti prioritari vengano prese, non a livello intergovernativo – perché non c’è molto da aspettarsi a questo livello – ma a livello del Parlamento europeo. Ne va della legittimità democratica della nostra proposta. La questione ecologica, poiché trascende gli interessi di parte e un interesse comune degli Stati, ha il potenziale per dare nuovo slancio al progetto europeo. Per fare questo, dobbiamo far capire alle persone che c’è uno stretto legame tra questa pandemia e la distruzione degli ecosistemi, la deforestazione, il deterioramenteo del suolo e il declino della biodiversità. Molte malattie infettive emerse negli ultimi decenni sono di origine animale e sono state trasmesse agli esseri umani a causa del nostro modo di sviluppo e dei nostri stili di vita. Non tutti si sono trasformati in una pandemia, ma resta il fatto che la crisi di Covid-19 e i cambiamenti climatici hanno un’origine comune, il degrado causato dall’uomo del nostro ambiente naturale. Questo è dimostrato da molti studi scientifici.

La nostra proposta, che offre spazio di manovra in bilancio e pone il Parlamento europeo al centro delle decisioni sulla transizione ecologica, darebbe un futuro e un indirizzo al progetto europeo.

Tuttavia, ciò equivarrebbe a mettere in discussione l’indipendenza della BCE.

S.: C’è coerenza tra il regime del neoliberismo che promuove l’autoregolamentazione dei mercati e l’indipendenza delle banche centrali. Voltarsi e guardare alla lunga storia richiede umiltà in merito al carattere definitivo di questo sistema. Non è che un momento storico. L’indipendenza delle banche centrali è legittima nel corpus dottrinale del neoliberismo ispirato alla scuola di Chicago. I valori di questo neoliberismo sono che l’azione pubblica ostacola il corretto funzionamento dei mercati e che è assolutamente necessario neutralizzare tutto ciò che riguarda il ciclo elettorale come elemento dirompente dei mercati. Da qui l’indipendenza delle banche centrali, che dovrebbe preservare la gestione monetaria dai danni causati dalla politica. Ma questa dottrina o meglio questo dogma non è sempre esistito. Se si considera la lunga storia delle relazioni tra gli Stati e le banche centrali, ci sono stati lunghi periodi in cui le banche centrali si sono trovate in una posizione subordinata, in un certo senso, rispetto agli Stati. Questo è ciò che è accaduto dalla fine della seconda guerra mondiale sino all’avvento del neoliberismo. Negli Stati Uniti, il Tesoro ha tenuto il controllo della Fed fino al 1951. L’indipendenza delle banche centrali è solo un periodo storico. La mia convinzione è che siamo in un momento di ribaltamento sulla storia delle banche centrali come ce ne sono stati altri. Un certo numero di tabù stanno cadendo. Così la Banca d’Inghilterra ha guadato il Rubicone operando una scelta irrevocabile sul finanziamento monetario del disavanzo di bilancio. Dopo la crisi, la BCE non è stata in grado di far ripartire l’inflazione e di raggiungere il suo obiettivo. La deflazione si annida dietro la crisi del debito sovrano. Inoltre, essendo l’istituzione che consentirà di aprire nuovi orizzonti e di finanziare questo nuovo mondo più ecologico, non è probabile che si verifichi una perdita di legittimità. Al contrario, penso che ciò che rende una moneta affidabile è la convinzione della comunità in cui circola nella propria sostenibilità. Se la BCE, con le sue azioni, rafforza l’area dell’euro e le fornisce i mezzi per finanziare un futuro sostenibile e auspicabile, allora stabilisce la propria legittimità.

Immaginiamo che la BCE accetti di cancellare il debito degli Stati che detiene. In che misura gli Stati, alla fine di questa crisi, non preferiranno finanziare l’attuale sistema piuttosto che la transizione ecologica, in nome della conservazione dell’occupazione?

L.S.: è una questione seria, alla base della quale si nasconde il problema del fallimento delle attività, vale a dire della svalutazione di alcune attività sostenute da settori ad alta intensità di carbonio che dovrebbero scomparire o di atrofizzarsi fortemente. Lo Stato non può lasciare fallire l’Air France, perché la rottura sociale sarebbe enorme. Tuttavia, sappiamo che per compiere una transizione ecologica di successo, dovremo ridurre il traffico aereo. La nazionalizzazione dell’Air France potrebbe quindi essere effettuata in cambio di un indennizzo e di forti impegni per ridurre la vela, abbandonare alcuni servizi e riconvertire i posti di lavoro in linea con la riconversione ecologica. Si tratta di accompagnare l’abbandono di attività nel tempo e lo Stato è meglio attrezzato per questo. La stessa logica prevale per i cantieri navali che costruiscono gigantesche navi da crociera – una calamità ecologica – che senza dubbio dovranno affrontare grandi difficoltà in futuro. Una conversione ecologica delle nostre economie non riguarda solo l’investimento nel “green”, ma anche l’abbandono del “brown” (basata intrinsecamente sullo sfruttamento di tutte le risorse e su un solo tipo di capitale, quello economico, ndt), la perdita di valore associata a queste attività e la mitigazione dei costi sociali che ne deriveranno. Non si possono abbandonare le persone, accettare una crisi sociale del genere.

Lo Stato dovrebbe pertanto impegnarsi a ricapitalizzare, attraverso un piano di riconversione dei settori che beneficiano di aiuti e mettendo in conto che subirà le perdite. Questa è l’inevitabile contropartita di una politica ecologica in linea con gli accordi di Parigi. Tali perdite potrebbero anche essere compensate dalla cancellazione del debito da parte della BCE.  La cancellazione sarebbe quindi utilizzata per la conversione ecologica dell’economia, con, ad esempio, iniziative ambiziose sul mix energetico e un programma vincolante di ammodernamento energetico degli edifici, che è uno dei modi più efficienti e generatrici di posti di lavoro. Ma assorbirebbe anche le perdite associate all’abbandono di alcune attività che sono molto dannose per il clima. Si tratterebbe quindi di ritornare a uno Stato stratega e pianificatore, uno Stato che stabilisca un percorso e un ritmo per la trasformazione delle nostre economie in modo che il futuro rimanga vivibile. 

Ciò richiederà naturalmente anche un importante piano di formazione per le  competenze essenziali per questa conversione ecologica, sia nella formazione iniziale per i giovani che nella riqualificazione professionale dei dipendenti che lavorano in settori ad alta intensità di carbonio.

Nel 2008, molti hanno anche detto che tutto sarebbe cambiato. Ma nulla è cambiato. Secondo voi, possiamo evitare di essere derubati del mondo dopo questa crisi?

S.: Partecipando al dibattito pubblico, spingendo nuove idee. Credo molto nel contropotere dei cittadini, nelle ONG, nelle riunioni della società civile. Lo strumento digitale permette l’organizzazione orizzontale ed efficiente di questi contropoteri, come dimostrato dalle leaks, le fughe di notizie, che hanno agitato le traiettorie. Questo è davvero il momento per la società civile di essere ascoltata e costruire i rapporti di forza. L’aver messo sotto una campana le nostre economie, la pausa forzata dalla frenesia delle nostre vite ci dovrà aiutare a pesare al mondo futuro e a come realizzarlo.

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