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E noi come stiamo? Di nuovo in piazza grazie alla Gkn

Oggi la chiamata a Firenze del Collettivo di Fabbrica Gkn. Motivi, temi e istruzioni per il corteo

Dopo l’Insorgiamo tour – più di sessanta appuntamenti, eventi, iniziative in giro per l’Italia dal 5 febbraio – Firenze ritrova oggi i movimenti sociali, la sinistra sindacale e politica in corteo con il Collettivo di Fabbrica Gkn, da otto mesi in assemblea permanente dopo l’ormai “celebre” licenziamento via mail. E’ un altro passaggio della costruzione della convergenza dei movimenti. Il corteo sfilerà per la città a 24 ore da un’altra importante giornata che ha visto lo sciopero per la pace e la giustizia climatica indetto dai Fridays for future proprio in convergenza – parola chiave di questa fase anche grazie al lavorìo della Società della Cura – con i lavoratori della fabbrica di Campi Bisenzio. Dopo il forum delle Convergenze di Roma, l’ultimo week end di febbraio, che ha inserito la data fiorentina tra le priorità, il collettivo di fabbrica è riuscito a fare altri due passi importanti: la dichiarazione congiunta Fridays for Future e Collettivo di Fabbrica e la circolare di FLC Cgil per la partecipazione alle mobilitazioni del 25 e 26 marzo. Non pervenute le altre direzioni della burocrazia di Corso Italia.

E’ una scadenza «di lotta “per noi”», scrivono i promotori che, lo scorso 11 marzo, hanno presentato alla stampa il Piano pubblico per la mobilità sostenibile, il percorso di reindustrializzazione proposto dal basso grazie alla collaborazione tra Collettivo di fabbrica e un coordinamento di ricercatrici e ricercatori solidali, tra cui diversi docenti e studiosi della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (in allegato la versione ridotta ed espansa del piano).

In un post della vigilia, il collettivo spiega che «Gkn è ormai un simbolo di riscatto sociale, un esperimento collettivo. Tutto ciò che è stato ottenuto è stato con la lotta. E con la lotta si otterrà il resto. La reindustrializzazione non sarà uno stratagemma con cui logorarci. Fatevene una ragione. Lì un giorno tornerà a lavorare una comunità operaia, solidale, con i propri diritti. E ogni raggiro verrà sconfitto.
Non siamo arruolabili in guerra. Sì, siamo angosciati dalla situazione dei civili e dei profughi. E proprio per questo dobbiamo fermare lo scontro tra blocchi in atto. La vostra è una economia di guerra e dichiariamo guerra alla vostra economia. Nessun invio delle armi. Fermare tutti i conflitti, accogliere tutti i profughi.
Non esiste contrapposizione tra questione ambientale e questione sociale. La radicalità dell’una alimenta quella dell’altra. I soldi al servizio dell’ambiente. Non viceversa.
Fuori dall’emergenza. Dentro l’urgenza. Ci dichiariamo fuori dal vostro stato di emergenza, secondo il quale imponete ogni volta un clima emergenziale e di guerra, di restrizione delle libertà democratiche e del dibattito sociale. Entriamo invece dentro l’urgenza: di cambiare, di abbattere precarietà, carovita, inquinamento, patriarcato, guerra. Non ci vogliamo più mobilitare solo sull’onda dell’ultima emergenza del licenziamento, della guerra che scoppia, del clima impazzito, dell’appalto che scade, del morto sul lavoro o in alternanza scuola lavoro. Vogliamo seguire una nostra agenda di cambiamento».
E, ancora: «Siamo “geniali dilettanti in selvaggia parata”». E: «totalmente solidali con Corsica, con Berta, con ogni spazio occupato. Perché il problema è la speculazione immobiliare che mangia i nostri affitti e rincara i nostri mutui. Lo stesso meccanismo finanziario che chiude le fabbriche e mangia pensioni e sanità. Sappiamo riconoscere chi fa parte della nostra famiglia allargata».
Un decalogo che è l’ultimo capitolo, fino a stamattina, di un diario collettivo che si conclude così: «Non esiste un settore “economicamente strategico”. E’ strategica la vita in sé. La cura, la bonifica, la difesa territoriale, la salute, anche mentale, il cinema, il teatro, la musica, l’informazione, la pulizia: è strategica ogni attività umana che arricchisca la nostra vita. E siamo quindi a difesa della dignità professionale di tutti coloro che lavorano nei settori industriali, creativi, di cura ecc. ecc.
La piazza radicale, popolare, colorata, reticolare. Non avrà padroni e proprietari. Non avrà “ordine” se non quello imposto dalla nostra fiducia e credibilità reciproca. E chi si pone fuori da questi concetti, non sarà evidentemente in sintonia con la piazza stessa. Sarà benvenuta la gioia e il colore, rifiutata la provocazione.
Torniamo a stupire. Facciamo la storia, per non doverla più subire».

«Perché la vertenza Gkn è tutt’altro che conclusa – prosegue il comunicato di indizione – la reindustrializzazione è tutta solo sulla carta. E sarà in ogni caso un processo lungo, dagli esiti incerti e verificabili solo nel tempo.

Abbiamo ottenuto finora solo una vittoria parziale, che va resa irreversibile e generalizzata. E tutt’oggi rischiamo di essere dentro un nuovo calcolo. Non ci hanno sconfitto i licenziamenti in tronco, ora rischiamo il logoramento da ammortizzatore sociale, incertezza e attesa. Un cassaintegrato dentro una fabbrica ferma è potenzialmente solo un licenziato alla moviola.

Per portare a termine la nostra lotta dobbiamo continuare a cambiare i rapporti di forza nel paese. E se cambiano, cambiano a favore di tutti e tutte. Per questo sarà anche una scadenza di lotta “con noi”, “per i vostri problemi”, perché Gkn deve aprire un precedente virtuoso. Non c’è fabbrica salva in un paese che non lo è. Nessuno si salva da solo.

Vogliamo sconfiggere tutte le delocalizzazioni, rimettere al centro la questione salariale, il carovita e bollette, la riduzione d’orario a parità di salario, l’abolizione del precariato, rivendicare un polo pubblico per la mobilità sostenibile. E rimettere al centro la condizione di lavoratori e lavoratrici incontrate in questi mesi, che siano del settore pubblico o privato, di quello industriale o scolastico, di trasporti, sanità, spettacolo, informazione, fissi, precari, in appalto, autonomi, migranti.

Ed è una giornata in cui convergono lotta contro la guerra, ambientale, sociale, transfemminista, per i diritti civili, di chi ha disabilità, delle reti di economia solidale e mutualistica e quelle di solidarietà internazionale. Perché abbiamo imparato che tutto si tiene, tutto si influenza. Solo in questa convergenza, solo appiccicati, tiene botta e si forma quella classe dirigente dal basso che può rilanciare il paese. Questa convergenza è chiamata a farsi maggioranza sociale e classe dirigente.

Il 26 marzo vuole essere una data radicale, in grado di andare alla radice dei processi, e fuori dall’emergenza.

A settembre ci siamo mobilitati con forza ma per un’urgenza imposta dai licenziamenti dichiarati da un fondo finanziario. Eppure quei licenziamenti non erano nati in un giorno solo; erano il risultato di processi decennali di arretramento dei diritti, di crisi sistemica e di finanziarizzazione dell’economia. E quei processi non sono di certo spariti, semmai peggiorati. Non bisogna sentire solo il rumore dell’albero che cade ma cogliere il suono del sottobosco che cresce.

Noi vi chiamiamo di nuovo in piazza, al di là dell’emergenza di mobilitarsi solo quando scade il contratto, l’appalto, si annunciano licenziamenti, delocalizzazioni, zone rosse e guerre. Fuori dallo stato emergenziale, per andare alla radice dei processi che lo causano. Per smettere di avere una agenda imposta da altri e costruirne una imposta dalla nostra volontà. Per questo, per altro, per tutto, #insorgiamo».

«Non è terminata e non terminerà a breve», ha spiegato più volte Dario Salvetti, delegato Rsu, a proposito di una lotta «che ha saputo non solo difendere i diritti di lavoratrici e lavoratori, ma anche creare un convergenza mai vista con altre forze sociali ed ecologiste di questo Paese. La reindustrializzazione di Gkn è un processo incerto e lungo, dove ci pare ormai evidente il tentativo di logorarci. E quindi non smobilitiamo e non ci vogliamo più mobilitare sulla base dell’emergenza. Ci hanno ripetuto fino allo sfinimento durante tutta la pandemia che sarebbe andato tutto bene. No, non andrà tutto bene se questi rapporti di forza rimarranno intoccati, se la ricerca di profitti avrà sempre la precedenza sui diritti e sul futuro di questo pianeta. Noi insorgiamo per il futuro. E il futuro non è solo uno stipendio e un contratto, è l’aria che respiri, è la pace, è cosa produci e in che società vivi. Il 25 e 26 formalizziamo che non esiste alcuna contrapposizione tra questione sociale e ambientale. L’una si alimenta della radicalità dell’altra. Sono una unica data.
E il 25 marzo, a fianco del movimento dei Fridays For Future per lo sciopero globale per il clima, e il 26 marzo a Firenze per la mobilitazione nazionale “Insorgiamo” dimostreremo che questa opposizione sociale esiste e sta proponendo un paradigma di società totalmente diverso da quello attuale. E’ un mondo nuovo in cammino e verificheremo se il 26 è un primo passo».


Per Martina Comparelli, portavoce Fridays For Future Italia: «Siamo convinti che sia importantissimo riuscire a congiungere le due mobilitazioni, lo sciopero globale sul clima del 25 marzo 2022 in tutte le città d’Italia e nel mondo e la manifestazione nazionale “Insorgiamo” il 26 marzo a Firenze. E’ necessario riprendere quella visione globale che ci è stata tolta, fondamentale per far sì che si comprenda che non siamo più divisi l’uno dall’altro e che non si crei più quella dinamica del “la mia lotta è più importante della tua”. Non possiamo più dividerci di fronte al ricatto tra ambiente e lavoro».
In occasione del 25 e del 26 marzo, diversi endorsement sono stati lanciati per favorire la partecipazione. Tra i testimonial si ricordano Ginevra De Marco; Jorit; ZeroCalcare, Vauro e Staino con le loro vignette; Modena City Ramblers; Punkreas. Ma anche gli appelli di altre vertenze, come Caterpillar, Tim o Alitalia, e di organizzazioni e movimenti sociali, come ARCI nazionale, Un Ponte Per e l’appello congiunto tra Fridays For Future e Collettivo di Fabbrica ex Gkn.

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Per la logistica del corteo e per il posizionamento degli spezzoni la proposta emersa è che il corteo venga aperto dalla Gkn e dallo striscione Insorgiamo, a seguire lo spezzone delle realtà ecologiste con i Fridays for Future e subito dopo lo spezzone delle realtà della Società della Cura e di quelle pacifiste, che sarà aperto con lo storico striscione “Firenze Città Aperta ripudia la guerra”, in cui confluiranno sia le realtà fiorentine che nazionali
L’appuntamento quindi è alle 13 in piazza Vittorio Veneto  al parapetto all’inizio di viale Abramo Lincoln.

E, a proposito di diario collettivo, questo pezzo è un collage di parole del collettivo, null’altro: in piazza, inoltre, si potrà sostenere in modo diretto la cassa di resistenza della mobilitazione acquistando il libro “Insorgiamo. Diario collettivo di una lotta operaia (e non solo)” del Collettivo Di Fabbrica – Lavoratori Gkn Firenze.

#insorgiamo #peoplenotprofit #26M #26marzo

Popoff ha sbobinato, un brano cruciale di questo diario: le parole di Salvetti al termine della prima manifestazione nazionale, il 24 luglio, a pochi giorni dal licenziamento.

Ringraziarvi è poco… per cui non lo faccio.

Ci ringraziamo guardandoci negli occhi e ci capiamo già tutti e ci ringraziamo con la pelle d’oca, quindi non ho bisogno di spendere parole mentre vorrei invece parlare di covid per iniziare quest’intervento: perché vorrei fosse chiaro a chi, come noi, ha lottato durante il primo lockdown – per essere messo a casa in sicurezza e ha lottato per provare a imporre protocolli anti-contagio nelle aziende e il rispetto del testo unico per la sicurezza – che ci pesa tantissimo, tantissimo, aver dovuto convocare una manifestazione a tappe, così si chiama perché i cortei sono vietati, sapendo che alcuni di noi potrebbero uscire da questa situazione ammalati o sapendo che potremmo contribuire così alla risalita dei contagi, ci pesa tantissimo ma noi non ci prendiamo questa responsabilità perché noi in questo momento siamo in questa situazione perché qualcuno ha deciso che una misura pandemica come il blocco dei licenziamenti* doveva finire…

… E lo abbiamo sempre detto dall’inizio di questa pandemia. Noi dicevamo: se posso lavorare in sicurezza devo poter fare assemblee sindacali in sicurezza e poter scioperare in sicurezza! Perché non accettiamo la sospensione – unilaterale – dei diritti sindacali e democratici in nome della pandemia.

E quindi, vi diciamo che se Melrose e le aziende di questo paese possono licenziare, le lavoratrici e i lavoratori di questo paese possono mettersi in assemblea permanente e possono fare cortei perché altrimenti è un utilizzo unilaterale della pandemia.

Vi abbiamo chiamato qua perché avevamo bisogno di non guardarvi soltanto attraverso la tastiera, i like e i commenti. Avevamo bisogno, come stiamo noi, di provare a guardarvi in carne e ossa e sappiamo che non siete i soli. Che poi ci sono tanti che oggi, in un sabato di luglio, in maniera autorganizzata, non sono riusciti a venire qua e quindi sappiamo che siete e siamo la punta di lancia di una solidarietà più ampia, quanto ampia è difficile da quantificare

Vi abbiamo chiamato qua per testimoniare un fatto e per farvi delle domande.

Le domande le facciamo noi, oggi.

Il fatto che siete chiamati a testimoniare è molto semplice: questa, quella che avete qua dietro, è un’azienda, in questo momento, di fatto, in mano ai lavoratori. La proprietà, un fondo d’investimento finanziario, ha lavorato un anno per chiuderla, ha lavorato fin nei minimi dettagli – vi potremmo fare una lunga spiegazione dei dettagli di come hanno lavorato – aggirando accordi, sentenze di tribunale, mentendo, addirittura mentendo – nell’ultima fase – ai propri stessi dirigenti perché altrimenti … il modo migliore per dissimulare è assicurarsi che uno sia complice senza saperlo, no?, che sia convinto che dice la verità per cui… c’erano gli straordinari per far partire nuovi progetti, nuovi business, le celle nuove… ve ne potremmo raccontare tante.

La proprietà non è interessata a quest’azienda. Noi, invece, l’abbiamo costruita, la conosciamo come le nostre tasche e, in questo momento, l’azienda è in mano a noi e potremmo far ripartire la produzione in qualsiasi momento. E questo non è uno slogan: è un fatto in carne e ossa che interroga tutti noi.

Quando venite qua ci chiedete sempre come stiamo, tutti, dal giornalista fino a… ma come volete che stiamo? Stiamo qua in piedi, come qualcuno che ha preso una tranvata in faccia e quindi ha ancora un po’ di lividi. Però dopo averla presa si guarda intorno e pensa che siamo ancora in piedi. E tutti i giorni si tocca per sapere se siamo ancora in piedi. E tutti i giorni scruta lo sguardo del collega per sapere se sta cedendo, se c’è o se non c’è, se sta perdendo la testa, se gli tremano le gambe, se ce la possiamo fare, se qualcuno di noi in fondo cederà, e quando cederà. Tutti i giorni.

Noi qua possiamo andare avanti mesi o cedere domattina e tutti i giorni ci svegliamo con questa idea. Stiamo in adrenalina in continuazione, l’adrenalina, a volte, cala e ti crolla la testa… stiamo così. Però in tutto questo almeno noi proviamo a trovare la lucidità di rimandarvi la domanda.

Noi stiamo così e voi come state? Voi tutti, come state? Perché a volte c’è una cosa paradossale: noi fino al 22 settembre, ad oggi, sappiamo che abbiamo uno stipendio e poi ci sarà il Tfr, ci saranno forse degli accordi ecc.. a volte quelli che ci vengono a domandare come stiamo, pure in questa situazione stanno messi peggio di noi perché magari a noi non lo dicono ma hanno il contratto precario che gli scade questa settimana, magari il giornalista che mi viene a intervistare non lo dice ma fa il pezzo a 5 euro a cottimo. Noi non abbiamo mai lavorato a cottimo e mai lavoreremo. Quindi glielo chiediamo noi: ma voi, come state? Cioè quanto siete disposti ad andare avanti e accettare questo. Questo, nel nostro caso è stato un licenziamento in tronco, nel vostro caso forse farà meno rumore, forse si chiamerà “scadenza del contratto”, forse si chiamerà contratto a progetto per i settori che ancora ce l’hanno o, forse, nel caso della ex Fedex si chiamerà “licenziamento e mazzate”. Quindi ve lo chiediamo noi: come state?

Non ci sembra che stiamo molto bene e, nello stesso tempo, stiamo benissimo perché noi abbiamo la dignità di continuare a sorridere e di tenere la testa alta. Dunque, finché c’è questa dignità – almeno personalmente – io sto benissimo.

E poi ci chiedete sempre: “che cosa farete e dove volete andare?”. Lo discutiamo tutti i giorni nell’assemblea permanente ma anche qua io ribalto la domanda: dove voi volete andare? dove voi volete andare?

Perché a noi è stato chiarissimo subito, dall’inizio, una cosa: che questa era una vertenza nazionale e politica. E non perché avevamo voglia di metterci in politica ma perché quando un fondo finanziario scappa e non hai controparte e i lavoratori tengono l’azienda evidentemente il dito è puntato contro il Fondo, che scappa, contro Stellantis, che ha dato le commesse – che oggi sta montando i nostri pezzi che vengono da altre parti – e poi contro le istituzioni. Perché, evidentemente, si dovrà dire che se loro hanno fatto tutto questo c’è stato qualcuno che gliel’ha permesso e che viene chiamato a decidere se vuole continuare a permetterglielo. Questo, in parole povere, vuole dire che un’azienda guarda negli occhi il governo. Ma un’azienda non può spostare i rapporti di forza di un paese. Per questo vi chiediamo noi: dove volete andare? E quanta benzina avete? Quanta benzina avete voi, noi ce l’abbiamo abbastanza chiaro. Perché se qua un domani parte uno sciopero generale, convocato da chiunque, o noi stessi dicessimo che questo che abbiam fatto questo sabato lo ripetiamo ad oltranza, tutti i sabati, i sabati della rabbia operaia, ce l’abbiamo noi la benzina per fare questo, inteso come noi questa piazza?

Quando il governo continuerà a scappare – e ora dico qualcosa sul governo – e noi li riconvocheremo, ci sarà la benzina come oggi, per essere il doppio, il triplo, questa è la domanda che vi facciamo. E per fare quello che noi stiamo facendo qua, nel vostro luogo di lavoro? Questo è il senso della parola d’ordine “Insorgiamo”, questo è il senso della parola d’ordine “Insorgiamo”.

E poi vi abbiamo chiamato qua per testimoniare un’operazione vile, e ve lo diciamo subito che è un’operazione vile. E l’operazione è questa, l’hanno fatta tante volte, ed è già in marcia anche con noi, non è che siamo degli sprovveduti…

E il fatto che capiamo che anche sia è un operazione vile non è che magari avremo la forza di fermarla, l’operazione vile è questa, ed è tutto calcolato: chiude la fabbrica, Melrose cattivi, signora mia dove si andrà a finire, Gkn non chiude, lo dicono tutti, lo dice il giornale, lo dice il ministro… no, il ministro in realtà non lo dice, lo dice la Regione ecc… però, nel frattempo, questo non si tramuta in niente di concreto. E quindi quelle cinquecento persone vengono lasciate lì, intanto i giorni passano… e sapete come finisce quando i giorni passano? Che un giorno queste persone, prese dalla disperazione, dallo scoramento, dalla stanchezza, se la voteranno da sole la chiusura dell’azienda!

Questa è la cosa più vile che ci può essere, perché magari un giorno cediamo, alziamo la mano, diciamo, sì, non si può fare altro che accettare quei quattro soldi e andare in pace e riprendere le nostre vite. Col risultato che alla fine tutto il mondo dirà che Gkn non doveva chiudere ma se la sono chiusa da soli, i lavoratori, il delitto perfetto! E dovremo anche andare a casa col sorriso, e ringraziare per l’ammortizzatore sociale, e ringraziare per quel poco di indennizzo e per la buonuscita. E’ un’operazione vile, e se non avremo la forza di fermarla, abbiamo il compito di dirlo: è un’operazione vile, volete che questa fabbrica sia chiusa dalla nostra stanchezza così potrete dire che siete tutti puliti, e che ce la siamo chiusa da soli.

Allora, a livello comunale, abbiamo avuto parole e fatti dal Comune. A livello regionale, abbiamo avuto le parole di una mozione abbastanza netta che parla di continuità produttiva e ci mancano i fatti, per cui chiameremo la Regione a tramutare quelle parole in fatti e dirci che cosa sono quei fatti. A livello di governo, al momento non abbiamo né le parole, né i fatti. Né le parole, né i fatti. Quello che ha detto D’Incà (che, tra l’altro, io non conoscevo, non è che li conosco tutti, questi)… quello che ha detto D’Incà, l’altro giorno nel question time, io non so se è un incidente di percorso, ma quello che ha detto, vorrei che fosse chiaro, è la stessa cosa che dice Melrose. Perché Melrose non è che quando ti manda la mail ti dice ti licenzio e ti impicco, ti squarto, ti licenzio ma troveremo il modo di mandarti a casa col sorriso, dice di voler diminuire l’impatto sociale delle nostre scelte inevitabili. Questa è anche la posizione del governo, soltanto che Melrose lo fa con una mail e il governo sta pensando di riscrivere quella mail e trasformarla, magari, in due mesi di trattative estenuanti.

Non è il problema di come siamo andati a casa, non è il problema di come siamo andati a casa…

E devo anche dirvela tutta: della merdaccia che ci ha fatto Melrose, della roba tremenda che ci ha fatto Melrose, di tutto quello che ha fatto negli ultimi tre anni, prendendoci per il culo, la mail è l’unica cosa sincera che ha fatto, ok? E noi non abbiamo il problema di tornare a dissimulare, a essere presi per il culo, perché almeno quella mail è stato un atto di sincerità, di verità. E che ci sia quella mail, se ci dev’essere! Hanno disvelato la loro natura, mentre eravamo, tre giorni prima, al tavolo di trattativa e ci dicevano che andava tutto bene e che non c’era crisi e che – addirittura, forse, a settembre – si assumevano due ragazzi.

Quindi non ho il problema di tornare a farmi pigliare per il culo, io ho il problema, quella mail di rimandarla al mittente! E di farlo per me e per il bene di tutte le aziende che sono nella medesima situazione.

Allora, guardiamoci negli occhi – poi lo riprenderemo a fare, magari mi riparo la mascherina e lo facciamo a distanza, più in sicurezza di quanto abbiamo fatto in questo corteo – guardiamoci negli occhi: è stato un grande corteo ma ci conosciamo in tanti, io conosco queste bandiere, questi gruppi politici che sono venuti a portarci solidarietà – alcuni di noi ci militano o ci hanno militato – le nostre idee politiche e sindacali (io, per esempio, sono membro dell’Opposizione in Cgil) sono note. E noi non sentiamo il bisogno di utilizzare questa lotta per operazioni di piccolo cabotaggio, per andare a segnare un punto del dibattito. Questo è minoritarismo. E questa lotta il minoritarismo non se lo può permettere!

Noi vinciamo se tutti noi, con i nostri limiti, i nostri pesi differenti, oggi, non domani, anzi ieri, cessiamo di essere minoritari, perché il problema di questa lotta non è venire a dire, per esempio con un volantino, che ci vuole la nazionalizzazione e che lo sblocco dei licenziamenti è stato una sciagura e andare a reclamare le dimissioni di questo o quello… noi stiamo un passo avanti rispetto a tutto questo. Questo, ci guardiamo indietro, appartiene al nostro passato. Ora abbiamo un presente e un futuro da giocare. E questo presente e futuro si gioca oggi, si gioca dandoci una mano a sviluppare questa lotta trasformandola in una leva per cambiare i rapporti di forza nel Paese. Ed è una cosa difficilissima, quasi impossibile. Lo sappiamo. Non ci poniamo in questo momento in termini di vittoria o sconfitta perché impazziremmo. Ci siamo posti il problema di convocare questo corteo. Ora è finito, e alle due e cinque, alle tre, alle tre e cinque, ci porremo il problema della prossima mossa, da fare tutti insieme. Questo è: se tutti quelli che sono qua presenti provano con noi a sfondare questo processo, a dire che bisogna allargare, che non ci sono limiti a dove possiamo arrivare, forse noi vinceremo. Forse… forse, perché – l’abbiam detto in uno slogan – si perde sempre, tranne quella volta che si vince e qualcuno ogni tanto vince, per fortuna, però, proprio perché le vittorie, nella nostra storia, sono così rare, devono valere una gran fatica e di solito cambiano la storia. Questa è la verità, magari è una storia piccola ma la cambiano.

In questo processo ci siamo tutti, se ci volete essere con un minoritarismo di sorta, accomodatevi tanto qua davanti c’è passato Nardella, c’è passato Giani, non è che abbiamo problemi a far passare qualcun altro, noi qua accogliamo tutte e tutti (sono andato a parlare con un parroco che ha detto – non a me, penso a Matteo – che le fabbriche dovrebbero essere dei lavoratori, non dei padroni, ne stiamo vedendo di tutte noi…).

Se, invece, ci vogliamo accomodare in questa lotta non accodandoci a essere una parte della passerella di questa lotta, magari con parole d’ordine più corrette, magari minoritarie, ma che non spostano di un millimetro, non ci faremmo un gran favore… Cosa volete che vi dica? Che in una società diversa, questa azienda lo Stato la dovrebbe prendere in mano? Se volete lo dico, questa è la mia opinione… volete che ve lo dica? Lo posso anche dire… ma ci sono i rapporti di forza, oggi, per imporre questo fatto, si o no? Perché io sono stato abituato ad una cosa, come delegato sindacale: se vado in assemblea con la piattaforma di lotta, so che dietro ho i rapporti di forza per imporla perché a scrivere un ordine del giorno e portarlo in assemblea e dire che ci vorrebbe la riduzione d’orario ecc… i lavoratori sono i primi che mi guardano e dicono ma scusa, con che rapporti di forza lo porti avanti?

Quindi ora, pancia a terra e sviluppare rapporti di forza e se questi rapporti di forza non si sviluppano, ovviamente noi dovremo rinculare su una gestione del presidio più stabile, provare a resistere tipo “villaggio di Obelix” assediato.

Noi siamo il villaggio di Obelix – tra l’altro ZeroCalcare ci ha fatto una vignetta bellissima – noi siamo il villaggio di Obelix. E sapete come inizia, non so se lo ricordate: “Tutta la Gallia è conquistata tranne un piccolo villaggio…”.

Dunque, il piccolo villaggio c’è già, ha la sua pozione magica, i suoi druidi… quello che vogliamo dire è che sarebbe il caso di riconquistarla, questa Gallia, e di andare a Roma, di andare a Roma a portare questa mobilitazione, di farla nazionale. Se poi questo lo vorranno fare anche le grandi organizzazioni di massa, del sindacalismo, ben venga!, ben venga!, perché è questo che sarà.

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