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Dino Frisullo, cerchiamolo ancora in Piazza Vittorio

Uno scritto ancora attuale di Riccardo Orioles a undici anni dalla morte di Dino: che cosa c’entra un re sabaudo con un pacifista?

di Riccardo Orioles

Dino Frisullo

“Tutti amu a mòriri, o prima o dopu – disse il vecchio Bastiano – Però, certuni comu mòrunu s’i puorta u ventu; cert’autri invece pesanu comu u’ Mongibeddu”. E’ morto Dino Frisullo, e non ho molto da dire: è un compagno davvero che se n’è andato, e ora siamo più soli. Aveva cinquant’anni, siamo nel duemilatrè, e dunque ha lavorato per tutti noi – aveva cominciato nel ’70, con Dp – per un po’ più di trent’anni. Non da leaderino, da politico “di sinistra”: da compagno. E’ stato fra i primi pacifisti italiani e fra i primissimi (e forse il primo) a organizzarsi insieme agli immigrati. Con loro, ha fondato la prima associazione antirazzista, “Senzaconfine”, che ha fatto da modello a tutte quelle dopo. E’ andato a propagandare la pace, e i diritti dei poveri, in Palestina, Bosnia, Albania e in altri luoghi. In Turchia, a Diyarbakir, è stato arrestato per aver difeso i curdi: è stato rinchiuso in carcere insieme a loro (primo europeo a dividere questa sorte) e al processo ha alzato ancora la voce contro la repressione anticurda. Su questa, e sulla condizione carceraria e sulla legislazione “d’emergenza” turca, Dino scisse un bellissimo libro (“L’utopia incarcerata) che gli fu pubblicato da Avvenimenti. Su altri giornali (anche “di sinistra”) per un certo periodo ci fu invece un veto formale, imposto da autorevoli mandarini, alle sue collaborazioni.

(Poche settimane in televisione fa tutti parlavano con gran prosopopea di curdi: Dino Frisullo era l’unico italiano che non solo conoscesse i curdi ma ne fosse conosciuto benissimo, e ne fosse amato. Eppure è stato l’unico a non essere invitato a parlarne).

La storia della sinistra italiana, per alcuni versi transeunte, per altri versi meschina, nella sua parte più nobile e permanente è la storia degli uomini come Dino. I vecchi socialisti, gli anarchici, i militanti operai, i comunisti clandestini… Qualcuno ha parlato di apostoli, e l’immagine è esatta. Dino è appartenuto a quella razza. Ingenui, poco “pratici”, raramente a proprio agio nei palazzi, il loro ambiente naturale era la vita dei poveri, la strada. Il loro modo d’esprimersi, un po’ impacciato e timido nei dibattiti ufficiali, attingeva a un’eloquenza inaspettata negli appelli di piazza o anche – come nel caso di Dino – davanti ai giudici militari. In questo, erano antichissimi e profondi. Dino, che ha lottato per i curdi e per gli operai bengalesi, è sempre lo stesso Dino (con un nome diverso, ma solo il nome) che in altri tempi ha organizzato gli scioperi delle mondine nell’Ottocento o la rivolta dei senzaterra nei latifondi.

Che possa la sinistra italiana, e noi stessi, raccogliere con umiltà e coraggio l’eredità di uomini come questi. La sinistra dei binghi, dei salotti romani e dei compromessi, oppure la sinistra degli organizzatori, delle testimonianze di vita, dei compagni. Non è possibile essere tutt’e due: c’è da fare una scelta.

* * *

L’ultima volta che l’ho visto è stato a piazza Vittorio, a Roma: una manifestazione di immigrati – organizzata da lui – una delle tante. Piazza di cento popoli, come nessun’altra in Italia: bengalesi, egiziani, curdi, pakistani, cinesi… Un pezzo di mondo nuovo, operoso, duro: il più multirazziale d’Italia e anche – per chi sa leggerlo – il più italiano. Là, tutti lo conoscevano e l’avevano sentito parlare; molti, in un momento o nell’altro, avevano sfilato in corteo insieme a lui. E anche ora che non c’è più, lui là c’è sempre.

Che c’entra un re sabaudo, con la piazza di Dino? Fra coloro che leggono ci sarà sicuramente qualcuno che conosce il sindaco di Roma. Coraggio, sindaco, cambiamo la targa di quella piazza. Via quel Vittorio Emanuele, mettiamo una scritta nuova. “Piazza Dino Frisullo, compagno”.

E la parola compagno, scrivetela in tante lingue.

(9 giugno 2003)

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