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Roma, incompetenza e ambizione di Marino, il sindaco dell’austerità

Doveva essere il sindaco della rinascita di Roma dopo l’era Alemanno. C’era chi giurava che fosse una rottura a sinistra degli equilibri del Pd. Invece è il sindaco dei tagli al welfare e della svolta autoritaria

di Armando Morgia*

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1 agosto 2014, la giunta del Sindaco Marino, approva con atto unilaterale il contratto decentrato del Comune di Roma per 24.000 dipendenti, senza l’accordo dei lavoratori e lavoratrici e delle sigle sindacali, troppo spesso e troppe volte in queste occasioni si è propensi a dichiarare una data come lo spartiacque tra il prima e dopo delle relazioni sindacali.

Forse esiste invece una completa linearità su quello che accade ormai da diversi anni, in Italia ed in Europa, nel mondo del lavoro, dove si interviene per la riduzione dei diritti e dei salari, e per quello che riguarda il settore pubblico, anche per la riduzione dei servizi pubblici ai cittadini per lasciare nuovo spazio di intervento ai profitti dei capitali privati, con la conseguenza immediata di garantire accesso a servizi essenziali, sanità compresa, solo a chi è in grado di pagare.

 

Il quadro delle politiche europee sul lavoro pubblico e servizi pubblici

Partire un po’ da lontano a volte è necessario per capire la linearità dei processi che la troika, (Unione Europea, Banca Centrale e Fondo Monetario Internazionale), ha messo in campo e per chiarire come i governi procedono semplicemente alla messa in opera di queste direttive, con piena e consapevole responsabilità politica.

La politica dell’austerità, il terrore del debito pubblico, la salvaguardia delle banche e dei grandi capitali hanno portato, solo per citare un esempio emblematico, la Banca Centrale Europea, a spedire nel 2011 una lettera al Presidente del Consiglio Italiano, all’epoca Silvio Berlusconi, in cui, con enorme sfregio alla sovranità popolare, si intimava di agire per procedere“ alla piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala” esprimendo altresì la necessità “di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.

 

Riforma della pubblica amministrazione e spending review del governo Renzi.

Sono passati tre anni da quella lettera, diversi governi si sono succeduti, con orientamenti politici di centro desta e centro sinistra, fino ai governi delle larghe intese, per arrivare all’attuale governo Renzi, ma le politiche dell’austerità sono da tutti state attuate. Un’austerità a senso unico, come ci ricordano i dati della Banca D’Italia, dove il 10 % delle famiglie possiedono il 45 % della ricchezza, mentre il 50 % delle famiglie detiene solo il 10 % della ricchezza, descrivendo un distribuzione follemente iniqua che va di anno in anno aggravandosi.

Una politica dell’austerità unidirezionale che si può ritrovare anche nelle linee della riforma della Pubblica amministrazione e della spending review del Governo Renzi, dove a pagare sono sempre i lavoratori e le lavoratrici per il taglio dei diritti e dei salari, insieme a quei cittadini più poveri che si vedono tagliare i servizi pubblici.

Una riforma della P.A. di cui si segnalano i limiti sia nel metodo che nel merito, nel metodo quella proposta è una riforma fatta con decreto legge, saltando ogni interlocuzione con i sindacati, rivolgendosi, con un atteggiamento Bonapartista, direttamente ai lavoratori e alle lavoratrici, attraverso una consultazione on line, simulando uno spirito partecipativo e dimostrando invece un atteggiamento autoritario, non potendosi rilevare i caratteri di necessità ed urgenza che qualunque decreto legge dovrebbe contenere come presupposti.

Un decreto che oltre a non avere i presupposti costituzionalmente previsti, e senza nessuna interlocuzione sindacale, ha inciso direttamente su diverse norme del CCNL, su accordi sindacali, oltre che su diritti che erano tutelati dallo statuto dei lavoratori dichiarandoli decaduti.

Un esempio ne è la mobilità obbligatoria e volontaria ed il demansionamento, che costringe i lavoratori a scegliere tra una riduzione del salario o la perdita del posto di lavoro, ricatto che attacca la dignità individuale.

Nel merito, lo stesso governo Renzi ha, con la legge di stabilità 2014, rinnovato il blocco del contratto nazionale fino al 2017, le cui conseguenze, secondo stime della cgil, determinano una perdita mensile media pari ad 260 € per ogni lavoratore, molto di più dei tanto sbandierati 80 € con le quali Renzi ha vinto le elezioni europee, e che oggi di fronte alla recessione mette in discussione.

A questo si aggiunge il blocco del turn over, che seppur modificato nei vincoli, passando da un limite numerico, ad un limite di spesa, è prorogato, per ora, fino al al 2017.

Al blocco del turn over, che ha già prodotto la perdita di almeno 300.000 posti di lavoro nel pubblico impiego, devono sommarsi i 250.000 pensionamenti previsti dall’INPS nel prossimo triennio, e gli 85.000 esuberi previsti dalla spendin review di Cottarelli.

Queste cifre vanno però ricordate a coloro che proclamano un eccesso di lavoratori nel pubblico impiego, paragonando i dati di altri paesi europei a quelli italiani, appare infatti chiara la strumentalità di queste posizioni.

Oggi in Italia il rapporto tra impiegati della P.A. è pari a 58 ogni mille abitanti, contro i 94 in Francia, i 92 in Gran Bretagna, 65 in spagna, 135 in Svezia e ci supera solo la Germania con 54.

Le conseguenze non saranno solo occupazionali, dato già di per se drammatico, ma produrranno una riduzione dei servizi pubblici offerti, i cui effetti si stanno già vedendo materialmente nel comparto sanitario, con tempi di attesa disumani e con l’aumento del costo del ticket.

 

Marino contratto decentrato e piano di rientro

In questo percorso il Sindaco di Roma non ha voluto essere da meno, soprattutto da dopo le elezioni europee quando il suo scranno è sembrato scricchiolare sotto i colpi della sua stessa maggioranza, a quel punto non solo si è dichiarato Renziano ma ne ha seguito le impronte per evitare una sua defenestrazione politica.

Per questo la nomina della nuova Assessora Scozzese al bilancio, con indicazione direttamente ricevuta da Palazzo Chigi e la presentazione del contratto decentrato e del piano di rientrato a seguito del Decreto cosiddetto Salva Roma e della relazione Ministero Economia e Finanza.

Come noto, a seguito della seconda relazione del Mef, epoca Marino, con Segretario Generale Iudicello II (secondo), questa viene affrontata con molta e troppa fretta, senza nemmeno che venissero presentate controdeduzioni da parte dell’amministrazione assumendo un atteggiamento completamente supino, mentre la prima in epoca Alemanno, con Segretario Generale Iudicello I (primo) ,non fu affrontata per tempo determinando la drammatizzazione della situazione.

Come è noto la macchina amministrativa non brilla di efficienza e di efficacia nell’erogazione dei servizi pubblici, ma Marino ancora una volta nel metodo e nel merito perde l’occasione di affrontarne i nodi.

La sua scellerata ambizione, o forse la sua incompetenza, gli fa credere di poter rinnovare la struttura organizzativa di Roma Capitale, dove 8 municipi sono ancora in fase di accorpamento, ed il contratto decentrato di 24 mila dipendenti, in soli tre mesi, tutto questo perché la sua logica è semplicemente adempiere, senza nessuna capacità sfidante, al bisogno di risparmio e di applicazione della norma.

E quindi Marino, fido discepolo di Renzi che con decreto legge, senza alcun passaggio sindacale approva la riforma della pubblica amministrazione, anche il nostro sindaco, senza alcun accordo sindacale, approva in Giunta la modifica del contratto decentrato e la riorganizzazione del lavoro con un atto unilaterale.

Quindi senza mai ricordare al MEF, e quindi al governo, che forse sarebbe necessario riaprire la partita del contratto nazionale, parte lancia in resta, ad adempiere a quanto li è stato richiesto, trasformando di fatto un ministero da organo esecutivo in un organo giuridico.

Ma le sue scelte sono andate anche ben al di là di quanto richiesto dal Ministero, infatti la delibera non prevede solo l’eliminazione delle indennità e l’introduzione della produttività e della turnazione, comportando per gran parte dei lavoratori tagli ingenti ai salari, ma approva una riorganizzazione che non solo non aiuta il funzionamento amministrativo ma che lo deprime ulteriormente.

Esempio più eclatante è lo smantellamento il sistema educativo, che prima basato sulla collegialità, viene trasformato in un sistema verticistico, con l’introduzione di nuove 170 P.O., con l’aumento del numero di ore lavorate dalle educatrici, da 27 a 30, senza nessun riconoscimento economico, e con l’aumento del rapporto bambino educatrice, il tutto a discapito dell’aspetto educativo del servizio offerto.

Altro sbandierato obiettivo raggiunto da Marino e dalla sua giunta di centro sinistra, è l’apertura degli anagrafici dalle ore 8:00 del mattino alle ore 20:00 di sera, introducendo la turnazione dei dipendenti, che porta un enorme discapito alla qualità della vita di chi vi lavora.

Non solo questo non produrrà una remunerazione maggiore del passato, ma garantirà solo, nella migliore delle ipotesi, la sostituzione delle indennità di sportello con quella di turnazione, ma soprattutto è una nuova organizzazione del servizio che guarda al passato.

Marino forse ignora che già oggi è possibile chiedere, con raccomandata, via fax e on line, diversi documenti ai servizi anagrafici, determinando l’aumento del back office e riducendo quindi la necessità del front office, allo stesso tempo Marino non ha letto l’ambizioso piano del giovane Renzi che vuole attribuire un codice PIN a tutti i cittadini italiani per fare i modo che ogni certificazione richiesta arrivi a destinazione in formato elettronico in 48 ore, il nostro sindaco venuto dalla luna, ops, dagli Stati Uniti, come ogni volta tiene a ricordarci, immagina forse ancora impiegati che indossano manicotti per non sporcarsi la camicia.

Anche per la polizia municipale l’intervento non sarà solo un diffuso rischio di riduzione salariale, ma produrrà anche una riorganizzazione centrata sulla flessibilità estrema dell’orario di lavoro, dove si rischia di conoscere solo l’orario di ingresso.

Per il resto sarà una produttività basata sulla presenza e sul giudizio del dirigente, prevedendo diverse aliquote percentuali da attribuire, tra amministrativi e tecnici, vigilanza e settore educativo, corrompendo la possibile e necessaria unità dei lavoratori contro le sue scelte scellerate.

Inoltre, salvo ravvedimenti questa amministrazione, ha deciso deliberatamente, senza nessun vincolo normativo, di considerare solo l’effettiva presenza, quindi chi è in maternità, o in infortunio per lavoro sarà considerato assente, mentre per la restante percentuale di salario accessorio, si prevede una valutazione del dirigente, dove la valutazione del dirigente sarà dettata da generici e pericolosissimi canoni di flessibilità e disponibilità del lavoratore.

Questa ipotesi va con fermezza rispedita al mittente, che incapace di immaginare una vera misurazione del lavoro svolto dal dipendente lascia al libero arbitrio del dirigente la valutazione, non rendendosi conto che questo rende fallace anche la loro idea di aumentare la produttività della macchina amministrativa, forse non è un caso che nessun sistema di produttività nel settore privato sia lasciato al libero arbitrio del “capo”.

Ogni lavoratore vivrà nella speranza di avere un dirigente illuminato, nel resto dei casi questo potere potrà essere facilmente utilizzato come strumento di ricatto verso i dipendenti che quotidianamente adempiono alle proprie funzioni, in controtendenza anche con il decreto anticorruzione.

L’altro anello di intervento è il piano di rientro di questa amministrazione che, attraverso la regia dell’Assessora Scozzese, procede alla privatizzazione e accorpamento delle municipalizzate rispetto alle quali esiste il forte rischio che l’assoluta necessità di intervento per combattere inefficienze e clientelismo politico (note le vicende delle assunzioni in ama e atac), venga trasformata in licenziamenti ed esuberi, cosa che oggi stanno rischiando già i lavoratori della multiservizi e del trasporto pubblico in concessione.

L’azione del Sindaco Marino evidenzia, dietro la foglia di fico della pedonalizzazione dei Fori Imperiali e del suo trastullarsi in biciletta per le vie di Roma, la linearità dell’applicazione delle politiche di austerità da far pagare solo e sempre a chi vive di lavoro, di fronte a questo disegno l’azione di Marino non è per nulla casuale ma è invece in linea con quanto esposto ed è assolutamente necessario reagire alla delibera approvata in giunta sulla nuova organizzazione del lavoro e distribuzione del salario accessorio.

Alla proposta del Sindaco di un nuovo incontro per il 5 settembre va risposto con una proposta alternativa da costruire con i lavoratori e le lavoratrici, e con la ripresa della mobilitazione su ogni posto di lavoro e nella città. Quell’incontro dovrà essere caratterizzato dalla costruzione di un nuovo rapporto di forza, cosi come accaduto con assemblee scioperi e ogni altra forma di agitazione, iniziative che hanno condotto per ora alla resistenza, impedendo al Sindaco di non tagliare i salari già da maggio scorso, come da lui stesso dichiarato, e che hanno permesso di riconquistare la totalità del fondo del salario accessorio, inizialmente pesantemente decurtato, a dimostrazione che nessuno è intenzionato a regalarci nulla e che ogni millimetro conquistato sarà frutto della nostra fatica e della nostra lotta.

*Rsu Cgil Roma Capitale

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