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Diritti umani, Italia festeggia con legge sbagliata su tortura

Nella giornata mondiale per i diritti umani, la preoccupazione per la legge italiana in via di approvazione: lacunosa e ambigua

di Checchino Antonini

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Oggi è il 10 dicembre, giornata internazionale dei diritti umani e contro la tortura.

Negli Usa, di certo perfidi, nemmeno cinque anni dalla conclusione delle detenzioni “speciali” a Guantanamo che Obama, certo non un santo, ha prodotto una relazione su modi, luoghi, nomi e tecniche di tortura utilizzate, in particolare l’uso del waterboarding (annegamento simulato). Non come in Italia dove 30 anni dopo il buio intorno alle torture contro prigionieri politici è solo un po’ squarciato da una sentenza della corte d’appello di Perugia che un anno fa ha riconosciuto l’esistenza di un apparato parallelo del ministero dell’Interno, attivo tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80, guidato da un funzionario di nome Nicola Ciocia, noto come professor De Tormentis, specializzato nell’estorcere informazioni con la tortura durante gli interrogatori. Nicola Ciocia è visibile, alle spalle di Cossiga, ministro degli Interni, nella foto davanti alla R4 in cui venne trovato il cadavere di Moro. Fu lui, otto giorni dopo a torturare Triaca, il “tipografo” delle Br. Come ricorda Paolo Persichetti, Cossiga e poi Andreotti e Rognoni fino al 1983, gestirono politicamente la stagione delle torture. Chi le avesse denunciate avrebbe rischiato la sorte di Triaca incriminato per calunnia dall’allora procuratore capo di Roma Gallucci. Chi gestì tecnicamente quelle torture, al contrario, avrebbe scalato i vertici del Viminale, di polizia e dei servizi come ricorda un recente libro, “Il partito della polizia” (Chiare lettere, 2014), di Marco Preve.

Tutto ciò avvenne a cavallo della riforma della polizia, della sua smilitarizzazione che, paradossalmente, trova nella tortura uno dei suoi elementi costituenti e alcuni di quei nomi avrebbero bucato gli schermi in occasione dei misfatti di Genova 2001. La tortura, come spiega un sociologo, Charlie Barnao, dell’università di Messina, prevede il medesimo succedersi di fasi dell’addestramento militare: azzeramento della personalità e riprogrammazione.

Tutto ciò per dire che la tortura è uno dei pilastri “culturali”, quasi “genetici” della polizia moderna, qui e altrove, come ci restituiscono le notizie dal Senato Usa. Una tesi che farà storcere il naso ai difensori della polizia a prescindere, ai fans del “partito della polizia”, gente dallo stomaco forte e dagli entusiasmi facili come dimostrano gli applausi ai colleghi condannati per omicidio.

Anche per questo i governi italiani degli ultimi vent’anni non hanno nemmeno preso in considerazione l’idea di scrivere una norma contro la tortura, reato tipico del pubblico ufficiale, come ha avuto a dire Enrico Zucca, uno dei pm che gestirono il processo Diaz. Nemmeno ora che c’è una legge in discussione e a portata di approvazione. Quella legge non piace a nessuno di coloro che ha a cuore la democrazia ma il fronte si divide tra chi pensa che sia meglio di niente e chi pensa che sia peggio del nulla che c’è ora.

Quella legge, ad esempio, preoccupa larghi settori di attivisti che si battono contro gli abusi in divisa, dall’Osservatorio Repressione ad Acad, fino al comitato Verità e Giustizia per Genova. Proprio da Enrica Bartesaghi e Lorenzo Guadagnucci, di quel comitato, arriva una lettera ai parlamentari: «Siamo convinti che l’introduzione di una buona legge sulla tortura sia uno degli interventi necessari a questo fine, e per questo le scriviamo. Siamo infatti preoccupati per il testo di legge in discussione in parlamento, che presenta a nostro avviso lacune e distorsioni così gravi da correre il rischio di produrre effetti opposti a quelli a nostro avviso necessari. Una legge sulla tortura è indispendabile per dare ai magistrati uno strumento idoneo a perseguire il crimine una volta commesso, ma deve anche – e forse soprattutto – servire a fini di prevenzione. Dev’essere mandato alle nostre forze dell’ordine un messaggio chiaro e forte di totale rifiuto, da parte dello stato, di ogni abuso o sopruso verso i cittadini privati della libertà personale. Perciò ci pare indispensabile che il crimine di tortura sia qualificato a livello normativo come reato specifico del pubblico ufficiale, nel rispetto quindi degli standard internazionali. Il testo attualmente in discussione qualifica invece la tortura come reato comune e prevede solo un’aggravante nel caso che l’autore sia un pubblico ufficiale. Si tratta a nostro avviso di una distorsione profonda. Il reato di tortura, in ogni Paese democratico, è uno strumento formativo, un punto di riferimento morale per chi lavora nelle forze dell’ordine, le quali in Italia ne avversano invece da sempre l’introduzione, considerandola come un attacco alla loro affidabilità e credibilità. Ma solo una mentalità distorta, una cultura democratica debole e involuta, può interpretare l’introduzione del reato di tortura come un attacco alle forze dell’ordine. E’ semmai vero il contrario: le forze dell’ordine saranno tanto più affidabili e credibili, agli occhi dei cittadini, in quanto responsabili e trasparenti nell’ambito di una normativa allineata ai migliori esempi normativi in campo internazionale. (…) La legge al momento in discussione ci pare sbagliata in altre sue parti: laddove non prevede il principio di non prescrivibilità del reato; laddove parla di atti di violenza al plurale, generando un’ambiguità pericolosa; laddove non prevede un fondo di finanziamento a favore delle vittime del reato».

In occasione della giornata mondiale dei diritti umani, Maria Stagnitta, presidente di Forum Droghe interviene sul caso dei detenuti reclusi ai sensi della Legge Fini Giovanardi per dire che, «anche se si tratta di una norma imperfetta nessun ulteriore ritardo sarebbe accettabile dopo oltre 25 anni di attesa!». «Anche in Italia spesso il riferimento alla droga è stato l’alibi per un intervento violento ai danni di persone indifese da parte di funzionari pubblici. Ricordiamo solo per fare un esempio i casi di Stefano Cucchi o di  Federico Aldrovandi. Inoltre ad oggi si contano centinaia di persone detenute condannate ai sensi della cosiddetta Legge Fini-Giovanardi, norma dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale. Per queste persone la Corte di Cassazione si è chiaramente espressa a favore di un ricalcolo della pena e quindi di un accorciamento del periodo di detenzione ma coloro che dovrebbero garantire l’interesse della Legge non si curano della questione. Come potremmo chiamare una detenzione illegittima se non una violenza gratuita, un vero caso di tortura!
In questo caso denunciamo la latitanza non solo del Parlamento ma anche la distrazione della Magistratura!».

 

 

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