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L’Europa cancelli il debito alla Tunisia

Cancellare il debito per battere la povertà: «Abbiamo già restituito più di quanto abbia avuto il dittatore Ben Alì». Il Forum sociale mondiale è anche questo. Oggi la manifestazione di chiusura

da Tunisi, Vittorio Agnoletto

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Si è svolto oggi il Forum Parlamentare mondiale con al centro il tema della giustizia sociale e della critica all’enorme potere concentrato nelle mani di poche  multinazionali. Sono interventi diversi parlamentari tunisini che hanno sottolineato come la Tunisia negli ultimi decenni sia stata terreno di conquista delle grandi compagnie soprattutto europee con la complicità del regime tunisino.  «Ben Alì, in 20 anni, ha ricevuto grandi  “prestiti” dalle nazioni europee; abbiamo restituito già ben più di quanto abbiamo ricevuto – hanno dichiarato i tunisini –  ma a causa degli interessi il debito non si estinguerà mai . Se l’Europa vuole veramente aiutare la Tunisia allora cancelli il debito residuo contratto dal regime precedente. Se veramente l’UE è interessata al nostro futuro e alla lotta contro il terrorismo integralista allora ci aiuti nella lotta alla povertà che è l’antidoto migliore contro il reclutamento dei giovani da parte dei gruppi terroristi. Non si limiti la UE a chiederci di rafforzare i confini e a mandare fondi per costruire campi dove fermare i disperati che cercano di attraversare il Mediterraneo, ma cancelli il nostro debito».
A questa richiesta fino ad ora ha risposto, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali, solo l’Italia con la disponibilità a cancellare parte del debito. Una senatrice svizzera intervenendo nel corso del Forum Parlamentare ha confermato che nelle banche del suo Paese sono stati congelati gli ingenti depositi fatti nel corso degli anni da Ben Ali, quando era il signore assoluto della Tunisia. La cosa più ovvia sarebbe restituire quei beni allo stato tunisino, considerando che si tratta di ricchezze sottratte alla collettività nazionale. Ma, secondo la senatrice, la questione è tecnicamente complessa e per ora è una situazione in stallo.
Il Forum è anche occasione per incontri fino a poco tempo fa impensabili. Accompagnati dall’associazione “Un ponte per Baghdad” è giunta una delegazione di 25 iracheni rappresentanti di varie realtà locali impegnate in patria nelle vertenze sulla difesa dei diritti umani, per l’acqua pubblica ecc. All’interno della medesima delegazione convivono sunniti, sciiti e realtà fra loro profondamente differenti impegnate in uno sforzo comune per ricostruire un Iraq degno di essere abitato. Queste realtà nel settembre 2013 avevano dato vita al primo Forum iracheno molto partecipato e qui a Tunisi hanno annunciato che ad ottobre di quest’anno si svolgerà la seconda edizione aperta a delegazioni di tutto il medio oriente e della Mesopotamia. Ma la cosa più interessante è la riunione a porte chiuse che si è svolta tra la delegazione irachena e i siriani partecipanti al Forum. Un primo tentativo di incontro tra rappresentanti della società civile di due Paesi attraversati dalla guerra che ha avuto come tema la ricerca di modalità per costruire percorsi condivisi e di pace in situazioni di conflitto. Il Forum è anche questo: fornire la possibilità d’incontrarsi tra soggetti che a casa propria percorrono strade differenti: un’esperienza importante di diplomazia dal basso che apre qualche spiraglio di speranza.
Tutt’altro clima quello che si e’ respirato in un altro seminario svoltosi poco distante: alcuni uomini e donne di Kobane hanno raccontato la tragedia della loro città, la distruzione, la guerra, la mancanza di cibo. Non è mancata oltre all’accusa alla Turchia di fiancheggiare l’ISIS, una dura critica ai paesi occidentali che si rifiutano di appoggiare in modo consistente i curdi. Una storia che conosciamo, ma ascoltarla dalla viva voce di queste donne produce un effetto ben diverso.

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