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Cgil in bilico, tra autoreferenzialità e urgenza del conflitto

Assemblee spesso semideserte ma anche casi di radicalità operaia. Eliana Como, prima firmataria del documento alternativo, fa il punto sul congresso Cgil

Dopo essere scesa in piazza a ottobre nell’anniversario dell’assalto squadristico alla sua sede nazionale e poi a novembre con le mille anime del movimento contro la guerra, in questi giorni la Cgil ha promosso, assieme alla Uil, una serie di scioperi regionali contro una legge di bilancio iniqua e dannosa. Tutto ciò avviene dentro una stagione congressuale del più grande sindacato italiano dilatata in estate dall’irrompere delle elezioni anticipate sulla scena politica. Già, come sta andando quel congresso?

«Sono appena finite assemblee di base, la parte più entusiasmante, quelle nei posti di lavoro, nelle fabbriche», spiega Eliana Como, prima firmataria di Le Radici del Sindacato, il documento di opposizione alla linea Landini.

«Ora inizia la fase più lunga – prosegue Como – le sessioni nelle categorie, nei regionali, fino al congresso nazionale di marzo. E, a mano a mano, il dibattito si allontana da lavoratori e lavoratrici.

La fase in cui si definiscono le percentuali è finita, non sappiamo ancora i risultati perché molti verbali non sono ancora stati inseriti. Non ho dubbi che la percentuale non sarà eclatante e che non corrisponderà al peso vero che abbiamo nell’organizzazione perché so come funziona la burocrazia. Preferisco, però, fare un bilancio prima di quei risultati perché il bilancio dev’essere politico».

Eliana Como ha calcolato che in questa tornata congressuale ha percorso non meno di seimila chilometri, l’assemblea più a nord s’è svolta sul lago di Idro, in Trentino, la più a sud alla StMicroelectronics di Catania. Due mesi avanti e indietro per l’Italia, in una fase complicatissima, se non drammatica, per le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, la più dura di sempre, probabilmente, in un contesto in cui la pandemia, la guerra, l’inflazione, la crisi ambientale e quella energetica, la crisi della sinistra e l’ascesa di un governo di estrema destra, determinano scenari dai contorni incerti che si abbattono su un tessuto sociale già provato e estremamente frammentato.

«Il nostro obiettivo ovviamente non è mai stato vincere il congresso – riprende la sindacalista, funzionaria Fiom, sociologa e appassionata di storia dell’arte – che peraltro è iniziato con una pesantissima, inspiegabile, modifica del regolamento che ha impedito agli iscritti, non componenti di direttivo, di presentare il documento nelle assemblee. Siamo stati spesso bullizzati dalla burocrazia, tenuti fuori non solo dai posti di lavoro (anche quando i padroni non ponevano alcun ostacolo alla presenza di nostri compagni) e perfino dalle sedi sindacali, ovvero da quelle che dovrebbero essere le case di lavoratrici e lavoratori. Se noi non abbiamo vinto, la burocrazia che si è comportata così ha di sicuro perso!».

Sembra emblematica, rispetto a questa denuncia, la storia di un lavoratore precario, Francesco di Rimini. «Un lavoratore di trent’anni, nostro compagno, pervicacemente escluso dalla possibilità di presentare il documento alternativo, che ha potuto fare solo assemblee con i pensionati. Eppure, in quel territorio, i nostri consensi sono raddoppiati. La burocrazia è così: invece di investire su un militante del genere, lo stigmatizza… Se mi chiedi chi ha vinto il congresso ti dico Francesco, non sono riusciti a fargli perdere l’entusiasmo».

Il quadro restituito da Eliana Como è desolante: «dove non ci siamo stati i lavoratori nemmeno hanno saputo della nostra esistenza, la sproporzione è gigantesca: l’apparato intero contro militanti che spesso hanno utilizzato ferie e permessi per andare ai congressi a presentare il documento.

Dove siamo riusciti a esserci, siamo almeno riusciti a dire che esistiamo e spiegare le nostre ragioni.

Ma il giudizio politico dei promotori del documento alternativo esula dal consenso granitico con cui Landini si presenterà alla fase finale. «Vorrei raccontarti – dice Como – le assemblee a cui ho partecipato, anche quelle in cui non abbiamo avuto un grosso consenso, anche quelle semideserte».

Il punto principale è che la partecipazione è stata ancora inferiore a quattro anni fa in cui era stata minore di quattro anni prima. «In linea con il calo dell’attivismo nel paese – avverte Eliana Como – e questo dà già il senso di un problema che forse in maggioranza nessuno avrà il coraggio di affrontare».

Già da alcuni anni, le minoranze congressuali sollevano il problema che le percentuali bulgare di partecipazione che figurano in molti verbali, non sono verosimili.

«Non corrispondono a quello che abbiamo toccato con mano dove c’eravamo – afferma con forza la prima firmataria di Le Radici del Sindacato quando fa qualche esempio di assemblee demotivanti a cui lei stessa ha preso parte: in una delle più grandi industrie farmaceutiche di Padova, la Fidia, 400 lavoratori, 100 dei quali iscritti CGIL c’erano 4 partecipanti all’assemblea del primo turno, e altri 4 a quella del secondo. Alla Barilla di Parma, una delle più importanti di quel territorio, in assemblea sono venute 16 persone. «Sono solo due esempi – dice al cronista – ma i casi sono stati tantissimi. Poi, certo, ho potuto partecipare anche ad assemblee vivaci, importanti, a volte solo perché la mia presenza funzionava da richiamo, sono riuscita a intercettare le fabbriche dove c’è stata più discussione ma, ripero, il quadro di partecipazione complessiva è stato deprimente. A volte, c’è stato un enorme consenso per le nostre posizioni, come all’Iveco di Brescia, roccaforte della maggioranza, dove sono stata più volte interrotta dagli applausi anche se poi non si è tradotto in voti. E’ il meccanismo di delega: ti ascolto, ti dò ragione, ma poi voto per il mio delegato. Ci sta».

Tutt’altra musica nelle roccaforti della minoranza, fabbriche in cui le pratiche conflittuali, negli anni, sono riuscite anche a strappare risultati in controtendenza con gli accordi al ribasso imposti dalla concertazione o addirittura in contrasto con leggi penalizzanti come il jobs act. Racconta, ad esempio, Eliana Come che in Same la piattaforma alternativa ha ottenuto 440 voti, «unica fabbrica della bergamasca che noi abbiamo fatto chiudere con un accordo il 26 febbraio del 2020, tre settimane prima delle altre fabbriche – spiega con orgoglio – proprio in questi giorni i dati a disposizione della procura per l’inchiesta della strage da covid del 2020, ci dicono che, se la Val Seriana fosse stata chiusa il 28 febbraio, secondo i modelli matematici adoperati dai periti, ci sarebbero stati quattromila morti in meno. Sì, in Same noi facciamo la differenza. E all’Electrolux di Susegana i “terministi”, tutti lavoratori e lavoratrici giovani, si sono messi in fila per iscriversi per poter partecipare al congresso. Il nostro documento ha più cuore perché è stato scritto insieme a chi quotidianamente porta avanti le pratiche sindacali nelle fabbriche».

Anche la Gkn di Campi Bisenzio è una roccaforte del documento alternativo ma lì, proprio nel periodo delle assemblee di base, la vertenza è giunta nel suo snodo più complicato e i lavoratori sono stati giustamente presi da questo più che dal congresso: «Comunque resta uno dei nostri punti di lavoro politico più forte e interessanti», dice Como.

«Ma quello che mi ha stupito di più e che mi ha anche restituito ottimismo, è stato il congresso al magazzino Amazon di Piacenza, con le assemblee strapiene alla faccia di chi ripete che il congresso non interesserebbe i lavoratori, tanto più i lavoratori giovani: li riguarda anche se non nell’immediato. I ragazzi in Amazon sono giovanissimi, una ragazza del secondo turno mi ha raccontato di essere stata convinta dai colleghi del primo turno a venire ad ascoltarmi e, alla fine dell’assemblea mi ha detto “tu devi andare avanti, abbiamo bisogno di questa carica”. E’ evidente che i delegati della Cgil lì hanno fatto un ottimo lavoro nell’offrire una proposta a lavoratori che non hanno nulla di scontato. Siamo noi ad avere una credibilità tutta da recuperare, e forse è vero: un settore di lavoratori è stanco e non vede l’ora di andare in pensione, ma chi non ha niente ha bisogno di speranze e di strumenti per lottare. Siamo noi a dover essere all’altezza di questa richiesta».

Insomma una fotografia fatta di luci e ombre per un percorso congressuale iniziato il 29 giugno con un’assemblea nazionale a Livorno, nello stesso teatro in cui avvenne la scissione del Partito socialista nel 1921. Il testo si intitola Le radici del sindacato proprio per richiamare, anche con la scelta del luogo le pratiche conflittuali e mutualistiche delle origini dell’organizzazione sindacale e che continuano a connotare le vertenze in cui sono protagonisti e protagonisti oggi operai/e e delegati/e di Riconquistiamo tutto!, Democrazia e Lavoro, Giornate di marzo, le tre componenti che si sono coalizzate per scrivere la piattaforma alternativa.

«E’ chiaro che ci sono sacche di rassegnazione e delega – riprende Eliana Como alla fine della prima fase di questa strada – ma il problema è che anche nella Cgil, tante categorie non facevano assemblee da prima del 2020, il gruppo dirigente di Corso Italia non ha fatto come noi decine e decine di assemblee in due mesi e forse non si rendono conto. Lo stesso Landini, temo sia andato solo dove era sicuro del successo. Io non so come arriveremo tra quattro anni, la crisi di credibilità è potente, il rischio è che per la burocrazia il congresso inizi solo domani».

Eppure la piazza romana del 5 novembre contro la guerra ha dato prova di una grande capacità di mobilitazione della Cgil. «E’ stata una giornata bella e importante, ma quanti lavoratori c’erano? – si chiede Como a proposito della presenza quel giorno soprattutto di delegate e delegati. «Landini ha voluto minimizzare, dicendo che i delegati sono lavoratori anche loro, ma il problema è resta. Anche lo sciopero è sacrosanto ma lo abbiamo potuto preparare in cinque giorni».

Nessuno si fa illusioni sull’esito del congresso per quanto riguarda le componenti conflittuali della Cgil: «Però non siamo stati complici – conclude Como – abbiamo provato a dire fermiamoci in tempo. Molti si lamentano nei corridoi. Noi lo abbiamo fatto a viso aperto. È più complicato, ma non cambierei per niente al mondo».

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