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Casa, l’ossessione del governo per gli sgomberi violenti

Dietro la violenza della polizia contro gli occupanti di case c’è l’ossessione del Pd e del governo contro i movimenti per il diritto all’abitare. «E’ la  fine della politica», dice Cristiano Armati, autore di “La Scintilla”

di Checchino Antonini/Left

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Bologna, 20 ottobre 2015. Fa il giro del web l’immagine di Amelia Frascaroli, assessora al Sociale della giunta Merola, quota Sel, incollata al vetro del suo ufficio, sconcertata e inerme, mentre di fronte vengono sgomberate con la forza le 280 famiglie che occupano la Ex Telecom. «Quell’immagine di impotenza saluta la fine già avvenuta della politica», dice Cristiano Armati mentre, qualche giorno dopo, alla periferia est di Roma prende a muoversi un corteo contro gli sfratti. Armati è l’autore di una “storia antagonista della lotta per la casa” (La Scintilla, Fandango libri, 2015, pagg.284, euro 18.50) scritta in presa diretta e in soggettiva. Lui stesso, infatti, precario dell’editoria quarantenne, vive da tre anni in una casa occupata nella Capitale. In quel quadrante di Roma, l’arrivo della metro C ha gonfiato gli affitti mentre la crisi ha sgonfiato i redditi. L’agenda dello sportello di zona per il diritto alla casa è zeppa di impegni: martedì picchetto antisfratto di Najib, mercoledì per Massimo e la sua famiglia, e così via per Eleonora e Antonella e poi ancora per Mimmo o Ahmed.

Fra le 30 e le 50mila famiglie, in tutta Italia, sono a rischio per la mancata proroga degli sfratti di fine locazione. Dall’inizio della crisi, sei anni fa, oltre 70 mila le sentenze di sfratto alla fine dello scorso anno, più di 30mila quelli eseguiti, il 90% dei quali per morosità, quasi sempre incolpevole. Il 70% di queste famiglie avrebbe i requisiti di reddito e sociali (anziani, minori, portatori di handicap) previste dalla legge per la proroga (lo stesso Viminale ammette l’incompletezza dei suoi dati). Ogni giorno sono 140 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica. Una sentenza di sfratto colpisce, secondo le statistiche una ogni 353 famiglie. Ma, escludendo le famiglie proprietarie di case e gli assegnatari di allogggi pubblici, significa che ogni anno in Italia una sentenza di sfratto, quasi sempre per morosità incolpevole, tocca una famiglia su quattro. E non c’è un sindaco che si ricordi dell’articolo 42 della Costituzione: “La proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale”, anzi ogni blanda misura, dal buono casa al contributo affitto, fino ai residence (che i palazzinari romani vogliono prorogare all’infinito al punto da aver disertato la gara per il bando che avrebbe dovuto sostituirli) sembra più un sostegno alla proprietà privata che una risposta all’emergenza.

Non basta, nelle ore immediatamente successive allo sgombero della Ex Telecom, la polizia irrompeva a Pisa, pistole alla mano, per sgomberare un luogo occupato nell’Ateneo e, a Porta Pia, venivano caricati con forza i senza casa che manifestavano sotto al Ministero dei lavori pubblici in solidarietà con i bolognesi. La portata simbolica delle azioni di polizia appare ad Armati più devastante degli effetti materiali. «Ci hanno cacciati con gli stessi idranti che si adoperano per l’immondizia. Questo per loro siamo». Più che la mole degli sfratti, a ossessionare il governo, ci sono le occupazioni a scopo abitativo, 110 solo a Roma, decine di migliaia di nuclei familiari, più la città invisibile degli inquilini senza titolo o delle occupazioni in solitaria, a volte ambigue. Il dossier occupazioni è il chiodo fisso di ogni prefetto nei tavoli con i vari assessori. La gestione dell’emergenza casa, un po’ ovunque in Italia, sembra delegata direttamente alle questure. Pisciate collettive sui materassi e la demolizione dei bagni, quasi sempre, sono la “firma” finale delle operazioni di sgombero, cui seguono le vicissitudini giudiziarie per gli attivisti coinvolti. «Queste giornate – continua Armati – hanno rappresentato questo: la scomparsa degli spazi della mediazione. Non c’è più spazio nemmeno per quel ceto politico che sopravviveva fungendo da cerniera, da erogatore di porzioni di diritti».

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Eppure, il presupposto delle proroghe degli sfratti consisteva nell’impegno del governo di sostenere con adeguati piani i comuni ma questi piani non si sono mai visti. E’ arrivato solo il Piano Casa (fratello del jobs act) del ministro Lupi poi costretto a mollare dallo scandalo “Grandi opere”. Ma quel piano gli sopravvive con quell’articolo 5, “Lotta all’occupazione abusiva di immobili”, che esclude gli occupanti dalla possibilità di allacciamento a pubblici servizi o dal diritto a ottenere la residenza e, con essa, a godere di diritti essenziali come l’accesso alle cure, all’assistenza domiciliare, l’iscrizione a scuola, la produzione della certificazione Isee, l’inserimento dei figli nello stato di famiglia. Negli articoli 3 e 4, invece, vengono messe in vendita le case popolari. «Quando fu discusso in Parlamento, molti esponenti del Pd dissero che quell’articolo doveva servire solo per stroncare la compravendita mafiosa di alloggi popolari occupati abusivamente – ricorda Guido Lanciano, segretario a Roma dell’unione Inquilini – nei fatti, però, si ripercuote su tutti accomunando la malavita e i movimenti. In generale, il Piano Casa è solo una mole di norme inapplicabili per gestire pochi soldi». E nelle stesse ore degli sgomberi violenti di Bologna, Roma e Pisa, la legge di stabilità toglie l’obbligo di tracciabilità ai soldi versati per gli affitti. Il governo che sgombera è anche quello che incoraggia l’evasione fiscale, il ricatto degli affitti al nero.

«Quel piano – riprende Armati – preceduto da una campagna di stampa martellante contro chi occupa, è la risposta politica agli Tsunami per il diritto alla casa (ondate di occupazioni che si sono succedute, soprattutto a Roma, tra il 2012 e il 2014, ndr) e all’accampata del 19 ottobre di due anni fa proprio a Porta Pia». Fu solo allora, grazie al ruolo trainante dei movimenti per il diritto all’abitare, che l’Italia sembrò smettere i panni di grande assente dall’indignazione che in tutta l’area Piigs mobilitava i settori colpiti dalla crisi. Settantamila persone sfilarono da San Giovanni fino alla sede del ministero delle Infrastrutture e, dopo tre giorni in tenda, una delegazione fu ricevuta da Lupi per discutere la “Carta di Porta Pia” predisposta dai movimenti. Nel Piano Casa, però, nessuna traccia di blocco degli sfratti, di piani di edilizia residenziale pubblica, di utilizzo sociale del patrimonio pubblico, di rigenerazione urbana, di blocco delle grandi opere, come reclamavano i movimenti. Solo quell’articolo 5, dalla dubbia costituzionalità, che sembra coronare il sogno di chi, inutilmente finora, aveva tentato – a Roma, Padova, Napoli, Torino, Milano, negli anni – di incastrare i movimenti con i teoremi giudiziari dell’associazione a delinquere “finalizzata all’estorsione di case o posti di lavoro”.

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3 COMMENTI

  1. Sono d’accordo nel corrispondere il canone escludendo il contante e quindi rendendolo tracciabile. Si rileva tuttavia che molti inquilini lavoratori in nero preferiscono utilizzare proprio il contante, come giustificare altrimenti un reddito ISEE magari dichiarato pari a zero con un affitto ad esempio di 500 euro al mese, ergo 6000 euro annui ? Altro indiscutibile vantaggio per l’inquilino sono le conseguenze in caso di morosità, anche premeditata. Se con un contratto in regola il proprietario rientra nel possesso del proprio immobile dopo almeno due anni, cosa succederà mai senza contratto ? Ribadisco, da proprietario, ben venga il pagamento con mezzi diversi dal contante.

  2. Faccio presente quanto segue: 1) uno sfratto per morosità dura dai 18 mesi a salire durante le quali il proprietario oltre a rinunciare al canone (magari poteva servire per pagarci il mutuo …), paga ingenti spese legali, eventualmente condominiali, di ripristino immobile e buone uscite. Risultato ci rimette almeno il costo di un utilitaria nuova, mai recuperabili se la controparte dovesse risultare nullatenente. 2) uno sfratto per finita locazione dura decenni (tempo delle proroghe su proroghe fino all’anno scorso concesse) pertanto chi decide quando il proprietario possa rientrare nell’immobile non è lui ma l’inquilino, perfino se l’immobile era destinato ad un figlio neonato e nel frattempo cresciuto e pasciuto. Su tali premesse questi benedetti inquilini come possono definirsi VITTIME ed essere pure creduti ? Esiste un altro paese dove si deroga fino a questo punto al proprietario il ruolo di ammortizzatore sociale a favore del conduttore di turno ? Il tempo sarà galantuomo, collasso dell’offerta locatizia privata docet. Credo che questo si stia cominciando a notare anche ai piani alti.

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