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La Francia contro il Jobs Act e il governo trema

Ottava giornata di azione intersindacale generale. Blocchi della produzione e barricate in tutta la Francia. Scontri a Parigi e Amiens. Il governo trema

di Giampaolo Martinotti, fotogallery da Parigi di Lily Manapany

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Sulla scia della grande mobilitazione in atto in tutta la Francia, e dopo l’annuncio della CGT, la Confédération générale du travail, a proposito dello sciopero illimitato che dovrebbe riguardare le ferrovie dello stato e la rete metropolitana della capitale a partire dal 2 giugno, s’inasprisce pesantemente la lotta contro la loi El Khomri. Oltre a porti, aeroporti e alle principali arterie autostradali, da circa una settimana sei delle otto raffinerie che la Francia annovera sono bloccate o marciano a rilento. Il blocco della produzione riguarda in particolare gli stabilimenti di Feyzin, Gonfreville, Grandpuits, Donges e La Mède, mentre nella giornata di mercoledì il grande deposito di carburante di Douchy-les-Mines, nel nord del paese, è stato teatro di veementi scontri tra gli operai in sciopero e la CRS inviata dal governo per liberare Total-mente gli accessi al sito. La multinazionale petrolifera infatti, in ottimi rapporti anche con il governo Renzi, è di fatto la più colpita dalla sollevazione. Violenti scontri sono stati registrati anche a Fos-sur-Mer e nei pressi di Valenciennes dove poco meno di un centinaio di metalmeccanici hanno richiesto l’intervento di ben venti furgoni delle unità antisommossa. In questo contesto decisamente teso, si è arrivati all’ottava giornata di azione intersindacale generale.

La giornata di oggi

In Francia si combatte per i diritti che in Italia ci hanno già tolto. Per Philippe Martinez, segretario generale della CGT, «il presidente François Hollande non ha più la maggioranza». Secondo i sindacati in questo momento 500 mila persone prendono parte all’odierna giornata d’azione intersindacale in tutto il paese. Force ouvrière (FO) all’interno di EDF, la compagnia elettrica francese, conferma la volontà di far diminuire la produzione di elettricità bloccando se necessario anche le centrali nucleari. Due militanti risultano feriti dopo che rispettivi automezzi hanno tentato di forzare gli sbarramenti degli scioperanti a Fos-sur-Mer e Vitrolles. Manifestazioni accese a Limoges, Poitiers, Toulouse e Brest. Scaramucce tra polizia e manifestanti a Rennes. Ingenti forze di sicurezza dispiegate a Nantes, dove il centro è stato paralizzato. Pneumatici bruciati e gas lacrimogeni ad Amiens. Incidenti si registrano a Strasbourg, Marsiglia e Caen. Cortei in corso a Bordeaux, Perpignan, Rouen, Saint-Etienne, Grenoble, Tolone, Avignone e Tours. A Lione, i manifestanti hanno pensato di rallegrare la grigia giornata della CRS con il lancio di palloncini ripieni di vernice dai colori sgargianti. Nei pressi di Querqueville, nell’ovest del paese, un’automobile avrebbe travolto la moto di Hervé Renet, uccidendo il sindaco Front de Gauche di Sainte-Croix-Hague e ferendo il suo passeggero Thierry Lacombe, segretario della locale sezione CGT. L’incidente non sarebbe legato ai blocchi stradali. A Parigi, il grande corteo partito alle 14 da Place de la Bastille è finalmente arrivato a Nation dopo essere stato fermato dalla polizia su boulevard Diderot. Durante il tragitto, alcuni casseurs incappucciati hanno abbandonato il corteo frantumando alcune vetrine e provocando l’intervento delle forze dell’ordine. Al momento, la metropolitana di Place de la Nation è chiusa e si registra l’ormai tradizionale lancio di gas lacrimogeni sui manifestanti da parte della CRS.

La mobilitazione

Nel suo insieme la mobilitazione contro la loi Travail, la riforma del diritto del lavoro in senso puramente neoliberista, va avanti da più di due mesi e mezzo. Le proteste iniziali, alimentate in un primo momento dai movimenti studenteschi (UNEF, Fidl, UNL), hanno immediatamente coinvolto i sindacati dei lavoratori più rappresentativi (CGT, FO, Solidaires, FSU) e le forze della sinistra anticapitalista e radicale (NPA, PCF, PG) per poi allargarsi al movimento popolare nato spontaneamente con le Nuit debout. Scioperi e manifestazioni hanno dunque portato in piazza senza sosta centinaia di migliaia di persone in tutta la Francia. Ma il 12 maggio, non curante delle forti proteste e di un’opposizione alla riforma che conta ancora sul favore del 70% dei francesi, il governo socialista diretto da Manuel Valls ha imposto la riforma senza voto parlamentare grazie all’utilizzo dell’articolo 49.3 della Costituzione francese, lo stesso che nel 2006 venne definito “un diniego di democrazia” proprio dal presidente François Hollande. Un colpo di stato in piena regola, un atto tanto vile quanto vergognoso da parte di un esecutivo fragile e delegittimato, al quale i sindacati più combattivi hanno deciso di rispondere con una strategia di blocco della produzione nei settori chiave dell’economia francese. Questo percorso coraggioso intrapreso dai lavoratori e dalla dirigenza sindacale, appoggiati dagli studenti, dai militanti anticapitalisti e da una parte importante della popolazione, sta spingendo il paese verso una carenza energetica e una interruzione dei servizi pubblici che, dopo aver lasciato il premier socialista letteralmente in riserva, si traduce con la paralisi graduale ma generalizzata alla quale stiamo assistendo. La risposta allarmata del governo risulta decisamente familiare a noi italiani. Menzogne, demagogia e mistificazioni fanno da cornice alla strategia repressiva avviata da Hollande all’indomani degli attacchi terroristici del 13 novembre 2015.

La risposta del governo

Prolungato dal Senato fino al mese di luglio, l’état d’urgence è diventato il miglior alleato del governo anche per mettere in pratica la strategia della tensione adottata ai bordi di ogni manifestazione contro il Jobs Act francese e denunciata da sindacalisti e rappresentanti della sinistra anticapitalista. La palese strumentalizzazione dello stato di emergenza al fine di implementare le fallimentari politiche di austerità si è presto trasformata in una brutale repressione della lotta in difesa dei diritti, dei salari e delle condizioni di lavoro delle generazioni odierne e future. L’appoggio del governo VallsMedef (confindustria francese), e il conseguente annullamento dei diritti civili, hanno lasciato campo libero ai numerosi arresti sommari in nome della sicurezza nazionale e agli abusi di polizia perpetrati dalla CRS, la Compagnies Républicaines de Sécurité, e dalla BAC, la famigerata Brigade anti-criminalité. I sempre più frequenti débordements, gli scontri provocati nel bel mezzo delle manifestazioni più pacificheda sedicenti casseurs, violenti incappucciati e pertanto non identificabili, fanno parte delle provocazionifondamentalmente funzionali alla repressione dei movimenti di protesta popolare. Una violentissima macchina repressiva, composta da agenti in borghese sprovvisti dei segni di riconoscimento ma muniti di bastoni telescopici, celerini nelle università e unità antisommossa equipaggiate con manganelli, idranti, gas lacrimogeni, granate assordanti, spray irritanti e fucili a pallettoni di caoutchouc (tra gli altri, uno studente ventenne ha perso un occhio a Rennes). Insomma, stigmatizzazione mediatica della protesta, divieto di manifestare, aumento dei controlli e l’uso della forza più inaudita per imporre la catastrofica distruzione del codice del lavoro.

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Cosa prevede in breve il Jobs Act

La riforma del diritto del lavoro che prende il nome dalla sua firmataria, la ministra del Lavoro Myriam El Khomri, è una riforma aggressiva che punta a cambiare radicalmente il codice del lavoro a svantaggio dei lavoratori. Il Jobs Act alla francese prevede licenziamenti più facili e meno costosi per le società, liberalizzazioni, diminuzione dei ricorsi davanti al giudice, aumento delle ore di lavoro e della flessibilità, limitazione delle indennità e tagli alla remunerazione degli straordinari, eliminazione della garanzia di congedo in caso di malattia di un familiare. Ma fanno parte del progetto di legge anche i nuovi dispositivi che permetteranno a certe misure aziendali di essere imposte con un semplice referendum seppur venga riscontrato il parere contrario del 70% dei sindacati,  mentre gli accordi interni (al ribasso) avranno priorità sulle intese di categoria. Questa è una riforma di stampo neoliberista chiaramente a favore degli interessi del grande capitale e degli imprenditori.

La lotta continua

La riforma del diritto del lavoro imposta dal premier socialista Manuel Valls, e dal presidente François Hollande, ha raccolto la protesta di un movimento popolare che può contare sull’orgoglio di metalmeccanici, camionisti, portuali, chimici, impiegati pubblici, studenti, precari, disoccupati, pensionati, artisti e intellettuali. Un fronte d’opposizione eterogeneo che il Medef ritiene addirittura responsabile della crisi economica e sociale di un paesemilitarizzato che sta sprofondando nel baratro grazie all’inadeguatezza delle sue tragicomiche classi dominanti. Mentre i media “mainstream” francesi si soffermano sugli sparuti attacchi all’indirizzo delle sedi del Parti socialiste al potere, non c’è spazio mediatico per parlare di disuguaglianze e povertà in aumento, razzismo, islamofobia e dell’insostenibile marginalizzazione dei cittadini costretti a vivere nelle periferie più degradate dai dogmi del sistema capitalista. La grande manifestazione nazionale prevista per il 14 giugno a Parigi, giorno in cui la legge esordirà in aula al Senato, sarà una tappa fondamentale per uno scontro che deve continuare e che, come per il Belgio, potrebbe allargarsi agli altri paesi europei. La lotta del popolo francese è una lotta contro le politiche di austerità, i diktat dei burocrati di Bruxelles, l’arroganza delle organizzazioni padronali e dei governi neoliberisti.

Le immagini della fotogallery sono una gentile concessione della fotografa francese Lily Manapany e possono essere visualizzate sul suo blog personale

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